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Renzi si arrende ai magistrati: "Non tocco le intercettazioni"

Dopo le tensioni degli ultimi giorni, passo indietro del premier Ma nei sondaggi l'esecutivo crolla: per l'80% ha perso credibilità

Renzi si arrende ai magistrati: "Non tocco le intercettazioni"

Roma - Con l'inchiesta di Potenza che minaccia di deflagrare politicamente, dando armi al variegato fronte dei suoi nemici, Renzi prova a mandare un messaggio distensivo ai magistrati: «Il governo non ha intenzione di mettere mano alla riforma delle intercettazioni», dice al Tg5. Un arretramento rispetto a quanto affermato, col premier che sembra volersi rimettere al «buon senso» delle toghe: Le intercettazioni, dice Renzi, «servono per scoprire i colpevoli» e ci sono magistrati che «sono molto seri nell'utilizzarle». Invece, «vicende familiari e pettegolezzi sarebbe meglio non vederli. Spero ci sia buon senso e responsabilità da parte di tutti». La parziale retromarcia arriva proprio all'indomani dell'elezione del pasdaran Piercamillo Davigo a capo dell'Anm, con immediato ultimatum al governo: le intercettazioni non si toccano.

Oggi, nell'aula di Montecitorio, Matteo Renzi aprirà la lunga campagna elettorale che condurrà, in autunno, al fatidico referendum pro o contro la riforma costituzionale. Il ddl Boschi che abolisce il bicameralismo e taglia i parlamentari arriva infatti in aula alla Camera per l'ultima lettura - la sesta - e il premier ha deciso che sarà lui a intervenire in prima persona per chiedere al Parlamento l'ultimo voto. Voto che le opposizioni, grillini in testa, hanno intenzione di boicottare e dilazionare il più possibile, ragion per cui si stanno scervellando per inscenare già oggi pomeriggio una serie di manifestazioni di disturbo per ostacolare l'esame del ddl Boschi (la quale oggi sarà assente, perché invitata dal parlamento britannico di Westminster a tenere una relazione ufficiale sulle riforme in Italia). Il clima è ancor più arroventato dall'inchiesta di Potenza, che il fronte anti-Renzi cavalca per indebolire il premier. I sondaggi registrano la situazione di incertezza e di oggettivo indebolimento per il governo: ieri i rilevamenti settimanali di Ipsos per il Corriere della Sera attestavano che per ben l'80 per cento degli intervistati la vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi sta intaccando molto (39%) o almeno in parte (41%) la credibilità dell'esecutivo. Ma il sondaggio dà anche atto che la capacità di reazione del premier sembra aver funzionato per arginare il danno: la larga maggioranza, il 58%, si dice d'accordo con gli argomenti usati da Renzi (sulla necessità di sbloccare le opere pubbliche e sulla incapacità della magistratura di portare a sentenza in tempi umani i processi). E molti di coloro che apprezzano le reazioni del premier sono elettori di partiti dell'opposizione (50% di Fi, 41% dei Cinque Stelle). Sul piano elettorale però, secondo le analisi di Ilvo Diamanti su Repubblica, il colpo si fa sentire: se a febbraio, in caso di ballottaggio, il 51% si diceva pronto a votare il Pd contro il 49% dei Cinque Stelle, oggi le percentuali si sono invertite, col 51,8% per gli adepti di Grillo e il 48,2% per Renzi. Da martedì il premier sarà in Iran, una visita di Stato importante perché è la prima di un grande Paese occidentale dopo il superamento delle sanzioni contro Teheran. Ma difficilmente potrà distrarsi da quanto avviene a Roma, e dagli sviluppi dell'inchiesta di Potenza.

Non tanto quelli giudiziari, perché nessuno pensa che possano essere significativi, ma quelli politici e di immagine, con le opposizioni, pronte a rilanciare ogni spiffero lucano, che ora chiedono le dimissioni del sottosegretario De Vincenti, pronte a passare a qualsiasi altro membro di governo citato in un'intercettazione.

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