Politica

Renzi va alla guerra: "Distruggere i terroristi"

Il premier si scopre interventista ma poi frena: "Investire in sicurezza e cultura"

Renzi va alla guerra: "Distruggere i terroristi"

Roma - Allora esiste (e lotta assieme a noi). Il premier c'è e batte un colpo in politica estera. Lo fa attraverso la sua enews, una specie di settimanale «lettera di san Matteo ai Corinzi». Nella quale stavolta Renzi vaneggia, contro il radicalismo nichilista che «prende in ostaggio le nuove generazioni», un controllo minuto del territorio, portato avanti con «le camionette dell'esercito certo, ma anche con i maestri elementari; con l'illuminazione e le forze di polizia, ovvio. Ma anche con il volontariato e il terzo settore». La sfida del terrorismo è un'emergenza «che durerà mesi, forse anni», scrive, e può essere battuta solo «restando uniti, a condizione di non farci piegare dalla superficialità, dalla demagogia, dal semplicismo vuoto e becero di chi punta a prendere voti anche sulle disgrazie». Renzi è anche irritato per le bugie dell'«amico» egiziano Al Sisi sul caso Regeni e promette che «l'Italia non si accontenterà di verità di comodo, potremo fermarci solo davanti alla verità». Però è sui fatti di Bruxelles, sul dolore che ancora piaga il cuore dell'Europa, che sembra lasciarsi andare a qualcosa di meno politicamente corretto. La spara grossa: «Noi dobbiamo reagire. Distruggendoli, certo (anche per via militare, dove necessario e possibile)». Distruggerli alla radice, il premier sembra cogliere il suggerimento di Berlusconi. Però la guerra, ci ripensa, «è fatta da stati sovrani, il terrorismo da cellule pericolose o spietate che non meritano di essere considerate stati sovrani... Io non credo che la parola giusta sia guerra... Si finisce per fare il gioco dei nostri nemici. Sono loro che vogliono parlare di guerra, sono loro che hanno bisogno della nostra paura». La svolta renziana man mano s'affievolisce, la «reazione durissima» diventa qualcosa di diverso. «Occorre un gigantesco investimento educativo e culturale, perché l'educazione è il principale fattore per la sicurezza di un popolo. E ci investiremo, senza rinunciare alla nostra identità, ai nostri valori, ai nostri ideali». Italia come modello, allora. Come dubitarne? «Abbiamo scelto una strada: per ogni euro investito in sicurezza, un euro investito in cultura. Per ogni euro investito in polizia, un euro nelle nostre periferie. Credo che questo serva anche all'Europa...». Sì, forse.

Magari anche no, chissà. RR

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