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Renzi vuol comandare ancora: governissimo oppure le urne

Oggi in Senato la fiducia alla manovra. Il premier uscente: io non vivacchio, tutti siano responsabili

Renzi vuol comandare ancora: governissimo oppure le urne

Mosse e contromosse. La mattinata di Matteo Renzi comincia con un blitz sulla manovra economica. Bisogna andare di fretta per convincere il Quirinale a non improvvisare governi di scopo. Il piano A del premier è andare alle elezioni appena possibile e sul calendario ha segnato i giorni di fine febbraio o inizio marzo. È per questo che ha anticipato il passaggio al Senato. Si va in scena oggi. Solo che Renzi non ha fatto i conti con timori del suo partito, Franceschini su tutti, e soprattutto con i dubbi del Capo dello Stato. Mattarella ci ha ripensato, ha scosso la testa e ha usato la propria influenza: non è il caso di correre troppo. Non sulla manovra, chiaramente, che va liquidità il più presto possibile, ma sulle elezioni. Non si può andare alle urne senza sapere come si vota: serve una legge elettorale. Le pressioni presidenziali hanno avuto qualche effetto, ma le concessioni di Renzi sono minime. Oggi alla direzione del Pd indicherà un bivio: o un governo di responsabilità nazionale con la più ampia partecipazione delle forze politiche oppure si va al voto. Il Pd non ha alcuna intenzione di farsi rosolare a fuoco lento. Quelli che hanno votato No devono assumersi le proprie responsabilità. È un messaggio a Grillo, Salvini, Meloni, Berlusconi e alla minoranza del Pd. Non sarà lui a rincollare i pezzi che il No ha mandato in frantumi. Non sarà lui ad affrontare da solo questa situazione critica. Renzi sa che i suoi avversari faticheranno a dire sì a un governo di emergenza nazionale. Il suo piano di fatto non cambia, ma in questo modo dimostra al Quirinale buona volontà ma soprattutto che l'unica strada possibile è andare al voto. Renzi accontenta Mattarella ma prosegue per la sua strada, quella veloce. Questo è il finale della giornata, l'inizio è appunto la manovra economica. La decisione era nell'aria e ieri ha preso corpo con una votazione a maggioranza della conferenza dei capogruppo del Senato. La manovra, licenziata dalla Camera dei deputati, passerà direttamente all'Aula di Palazzo Madama, saltando il passaggio nelle commissioni della camera alta. Il governo ha posto la fiducia ed è intenzionato a tirare dritto, come dimostra il no alla richiesta delle opposizioni del Senato di rinviare perlomeno di una settimana il voto finale.

Testo chiaramente blindato, senza possibilità di modifiche, come ha confermato il capogruppo Pd in commissione Bilancio Giorgio Santini: «Il testo non si riapre rispetto a quello della Camera». Il governo è stato costretto a ricorrere alla fiducia per il muro delle opposizioni. I capigruppo di Forza Italia al Senato e alla Camera, Paolo Romani e Renato Brunetta, hanno subito cercato di fermare il governo: «Le strane ipotesi che circolano su un possibile congelamento della crisi del governo Renzi, con l'approvazione accelerata della legge di Bilancio grazie addirittura a cosiddette fiducie tecniche, sono del tutto impraticabili».

La richiesta di Forza Italia, condivisa della Lega e poi anche del M5S, era quella di stralciare i «piccoli e grandi finanziamenti di mero sapore elettorale che oggi compongono il testo della legge all'esame del Senato». Cioè le mance pre referendarie. In compenso, ci sono molte modifiche alla legge che erano state annunciate dal governo e che ora saltano. Quella che colpisce di più è il ripristino del fondo da 50 milioni per l'emergenza sanitaria a Taranto, scatenando l'ira del governatore pugliese Michele Emiliano. Altra modifica attesa era la stabilizzazione dell'ecobonus per la riqualificazione energetica degli edifici. Senza la modifica del Senato l'incentivo è garantito solo fino al 2017. Anche i precari dell'Istat erano in attesa di un emendamento che avrebbe consentito la stabilizzazione.

Dettagli, nella più consolidata tradizione politica italiana che vede il merito delle politiche subordinato alla lotta di potere.

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