Politica

Resa dei conti nel Pd E il premier in tv licenzia il sindacato

Renzi annuncia: via i cocopro. E oggi affronta la minoranza in direzione L'affondo anti Cgil: «Chiedono l'articolo 18 ma loro non lo applicano»

E venne il giorno della resa dei conti nel Pd spaccato sull'articolo 18. Oggi la direzione nazionale del partito e il premier, oltre ai frondisti, individua il nuovo «nemico»: il sindacato. Ieri sera, ospite di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa lancia una bordata a Camusso e soci: «L'unica azienda al di sopra dei 15 dipendenti che non ha l'articolo 18 sa qual è? È il sindacato, che poi ci viene a fare la lezione», ha detto Renzi difendendo la sua scelta di tirare dritto sull'abolizione dell'articolo 18. Incalzato da Fazio, il premier aggiunge: «L'articolo 18 tutela solo una piccolissima minoranza dei lavoratori italiani, noi vogliamo tutelarli tutti, specie quelli che sono stati costretti al precariato. Chi difende l'articolo 18 lo fa solo per una battaglia idelogica. È uno che si guarda allo specchio e dice “io sono di sinistra perché difendo l'articolo 18“ quando invece è soltanto un totem del passato».

Reduce dalla 6 giorni negli Usa Renzi è scatenato e torna rottamatore della vecchia politica a partire da D'Alema che lo ha criticato dalle colonne del Corriere della Sera . «Io non devo far felice D'Alema, devo far felice quella mamma che ha un contratto precario e non ha diritto alla maternità». E ancora: «Una generazione di politici ci ha raccontato per anni cos'è di sinistra e cosa no. Capisco che parte della sinistra è affezionata alla memoria, ma la memoria senza speranza è un museo delle cere». E a proposito di contratti annuncia: «In direzione Pd dirò che cancelliamo i co.co.pro e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato la forma prevalente del lavoro». Un messaggio diretto arriva anche agli oppositori occulti «Vedo più pensieri deboli che poteri forti», poi Renzi precisa: «Possono mandarmi a casa domani mattina ma nessuno può pensare di telecomandarmi come una marionetta».

Poi il tema riforme con il premier che lancia un messaggio anche a Forza Italia e a Berlusconi. «A Berlusconi dico che abbiamo un accordo sulle riforme e ora bisogna fare veloci. Forza Italia non deve continuare a girarci intorno. Brunetta non può alzarsi ogni mattina e dire una cosa sua».

Presa di posizione anche contro i vescovi: «Io sono cattolico, quando i vescovi intervengono ho da imparare. Ma noto che in questi anni sono stati zitti mentre si consumava una catastrofe educativa». Il segretario del Pd usa parole dure anche verso i magistrati: «Ci facessero il piacere di lavorare di più, invece di lamentarsi», e sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il padre chiosa: «Il giochino di parlare di giustizia a orologeria fa male a chi lo dice. Mio padre è un uomo per bene».

Oggi queste posizione così nette arriveranno in una direzione Pd che si annuncia di fuoco. Renzi vanta una maggioranza dei due terzi nel parlamentino democratico. Oltre ai suoi fedelissimi, con lui ci sono i giovani turchi guidati da Matteo Orfini e, sul tema del lavoro, i popolari di Fioroni. Perplessi ma in stand by i lettiani, critici ma non «rotturisti» i bersaniani mentre venti di guerra si levano dai civatiani, che sono quattro gatti. Quando si passa al Senato i numeri però sono meno rassicuranti per Renzi. Calcolatrice alla mano rischia di andare sotto e perciò pensa allo strumento del decreto, proposto esplicitamente dall'alleato di governo Angelino Alfano per bypassare le difficoltà, e non esclude anche il ricorso alla fiducia. La minoranza si accontenterebbe anche di una onorevole sconfitta, di vedere riconosciuto in un documento la loro posizione, di essere accontentati in qualche nota a margine.

Ma Renzi conosce soltanto una parola: stravincere. E quindi inutile aspettarsi passi indietro. Anche se la minoranza Pd prova a tenere duro. Pier Luigi Bersani, leader di una delle frange più accanite nel definire la riforma renziana «di destra», critica il metodo-Matteo: «Non si può dire prendere o lasciare, chi ha responsabilità di dirigere deve cercare una sintesi, a casa tua cerchi una sintesi». Però lo spettro della scissione non aleggia, secondo l'ex segretario: «Renzi stia sereno, non esiste proprio». Anche se quelle parole suonano un po' a beffa e un po' a maledizione.

E i sindacati, bastonati così duramente dal premier? Questa mattina cercheranno una posizione unitaria nel corso di un vertice che verrà protagonisti i leader di Cgil, Cisl e Uil. Susanna Camusso, leader della Cgil, a In Mezz'Ora su RaiTre, si dice pronta a «una lunga battaglia» senza attendersi buone notizie dalla direzione del Pd. «Abbiamo registrato che il governo non pensa di avere relazioni con le organizzazioni sindacali. Abbiamo telefonato a Renzi, ci rispondono sempre segretarie molto gentili. Però da Confindustria riceve documenti e ne recepisce i suggerimenti».

Per loro Matteo ha invece solo bastonate.

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