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Ricami e decori a più mani e il lino sembra pelle

Miu Miu e McQueen fanno cucire gli abiti ai dipendenti: tutti in passerella per gli applausi

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Parigi «Oh my God!» dice Naomi Campbell all'uscita della strepitosa sfilata di Alexander McQueen. «Dio che brava» esclamano all'unisono gli italiani per l'incredibile lavoro di Miuccia Prada su Miu Miu, universalmente giudicata tra le più belle collezioni viste in questi giorni a Parigi. Nessuno vuole violare il secondo comandamento che dice «non nominare il nome di Dio invano», ma in entrambe le collezioni c'era qualcosa di divino: quel senso del bello, del giusto e del vero che rende la vita degna di essere vissuta.

C'era anche la voglia e la capacità di aprire il cerchio magico della creazione anche ad altre persone riscoprendo il lato umano della moda: il più perfetto elogio dell'imperfezione che si possa immaginare. Sarah Burton parte sempre da un viaggio di ricerca con l'ufficio stile di McQueen. Stavolta approda all'Irish Linen Centre & Lisbun Museum di Belfast dove scopre tutti i segreti del lino irlandese che è molto più pesante di quello prodotto per esempio in Italia (ben 180 grammi in più al chilo) e infatti non si stropiccia altrettanto facilmente oltre a essere perfetto per gli abiti maschili. L'immaginifica designer inglese che dal 2010 sostituisce Alexander McQueen alla guida creativa della maison, prende questa antica fibra che in Egitto ha rivestito i faraoni e la sottopone a ogni tipo di trattamento ottenendo qualcosa di molto più morbido e leggero del previsto. Non contenta procede con una spalmatura che fa sembrare il lino identico alla pelle oppure con ulteriori sfilacciature che lo rendono molto simile a una piuma di chiffon.

Il risultato in passerella è eclatante: le classiche forme scultoree e aggressive di McQueen con un certo non so che di dolce e femminile. Ci sono maniche edoardiane, pizzi elisabettiani oltre al rigoroso splendore del bianco e nero vittoriano, ma su tutto domina quel senso di assoluta modernità che viene dalla cultura punk qui ben rappresentato dagli accessori tra cui dei divini stivaletti borchiati. Un modello è stato dipinto a mano dagli studenti della Saint Martin School di Londra e poi ricamato a mano, un pezzo ciascuno, dai 200 dipendenti dell'azienda. Quelli che non sanno nemmeno cucire un bottone si limitano a fare uno sgorbio, ma Sarah li porta tutti con sé in passerella per prendersi l'applauso più lungo e commosso di questa interminabile fashion week. A Prada non viene tributata una standing ovation solo perché il bellissimo set è tutto fatto a gradoni di legno che ricoprono interamente l'architettura razionalista del Palais de Iena. In ogni caso l'entusiasmo è palpabile per questa bella collezione che parte dalle forme semplici tipo il grembiule che qui in Francia chiamano tablier oppure i grandi classici dell'arte sartoriale come il robe manteau staccato dal corpo oppure il cosiddetto sleaveless che è un lungo paltò senza maniche.

Su questi pezzi essenziali in lana, seta pesante, canapa grezza, nappa verniciata o garza, ogni membro dello staff ha aggiunto delle decorazioni: pezzi di volant, bottoni, ruche che sostituiscono le maniche, di tutto ma non di più. Infatti ogni singolo elemento decorativo cambia modifica il capo, un trucco intelligente che Lady Prada confessa di aver imparato da un'amica che era una delle donne più eleganti del mondo. Su alcune di queste meraviglie vengono anche eseguite delle pitture a mano, intriganti come l'action painting di Jackson Pollock. Il risultato? Tutto desiderabile: dal primo rigoroso tablier all'ultimo poetico abito da sera per non parlare dei sublimi montoni senza maniche. La seconda sfilata co-ed (cioè uomo e donna) di Louise Trotter per Lacoste va in scena nella «casa spirituale del tennis» come viene definito il Roland Garros dagli addetti ai lavori del marchio del coccodrillo. I modelli sfilano lungo la balconata interna dello stadio costruito attorno al nuovo campo dedicato a Simonne Mathieu, una campionessa degli anni Trenta.

C'è una tale iniezione di stile, eleganza, sport e modernità che alla fine il coccodrillo diventa una specie di totem nei nuovi deliziosi gioielli e un autentico blasone sull'abito-polo, sull'impermeabile in tela gommata nelle preziose tinte di stagione (nocciola, giallo limone, verde menta) e sui deliziosi completi gonna a pieghe e blusa squadrata. Strepitose anche le sneaker realizzate a mano con la tecnica del collage da Helen Kirkum che ha riutilizzato i modelli della scorsa stagione. Insomma non è un caso se Lacoste nel mondo fattura due miliardi di euro.

Solo in Italia sono 50 milioni e a novembre verrà riaperta la boutique di via Dante a Milano.

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