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La ricetta "greca" dell'Inps: far pagare pure i pensionati

Il presidente Boeri avvisa: "Troppi assegni e pochi occupati, chi è uscito dal lavoro dovrebbe contribuire a finanziare la previdenza". Contropartita vaga e Poletti dice no

La ricetta "greca" dell'Inps: far pagare pure i pensionati

Ci sono troppi pensionati in rapporto ai lavoratori. Nel 2014, ogni 130 iscritti all'Inps che versavano contributi, c'erano 100 prestazioni. In futuro il rapporto «è destinato a peggiorare», perché ci sono sempre meno occupati. Quindi, tanto vale «fare di necessità virtù: anche i pensionati possono contribuire al finanziamento della previdenza di chi si è del tutto ritirato dalla vita attiva».

Il presidente dell'Inps Tito Boeri ha alzato mezzo sipario sulla sua proposta di riforma. La novità di rilievo rispetto alle anticipazioni è appunto un surplus di contribuzione che, se attuato, diventerebbe una ricetta previdenziale in stile greco. Nel senso di quelle raccomandate alla Troika, non quelle farlocche di Tsipras.

Un taglio delle pensioni, di fatto. Un prelievo sulle rendite sotto forma di contributo previdenziale, in cambio di qualcosa che non è ancora definito. Magari una rivalutazione più generosa con gli anni. «Vogliamo offrire la possibilità di versare e farsi versare contributi che poi diventeranno un supplemento alla pensione per chi sta già percependo un trattamento previdenziale». Contributi extra anche per i datori. Versamenti aggiuntivi «per permettere ai loro dipendenti che si ritirano prima di raggiungere l'età della pensione di vecchiaia e incrementare la loro pensione iniziale».

Il messaggio è: qualsiasi riforma della previdenza dovrà essere autofinanziata. E anche la flessibilità in uscita, cioè dei requisiti un po' meno rigidi di quelli previsti dalla Fornero, dovrà essere finanziata interamente dagli stessi pensionati.

Boeri ha illustrato una versione universale dell'opzione donna, cioè la possibilità di andare in anticipo in cambio del ricalcolo contributivo della prestazione. La logica del contributivo è che a parità di contributi versati, ogni anno in meno di lavoro «comporta una riduzione dei pagamenti mensili, tenendo conto della demografia e dell'andamento dell'economia». La «flessibilità sostenibile» è un principio che «può essere applicato anche a chi andrà in pensione nei prossimi anni con regimi diversi dal sistema contributivo». Quindi, il presidente dell'Inps di fatto propone l'applicazione del contributivo non più pro quota, come nella riforma Fornero, ma per tutti, a partire da chi andrà in pensione nei prossimi anni con il sistema misto. Non spiega se nel suo progetto si tratta di un obbligo o di una opzione, come nel caso della misura per le donne varata dal governo Berlusconi.

Boeri resta convinto della bontà di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte (non quantificate) per pagare i costi della flessibilità, cioè di una riforma che restituisca qualche anno di pensione. Poi una rete di protezione per gli ultra 55enni, un «reddito minimo garantito» pensato per una fascia di età ad alto rischio, ma che - come ha fatto capire il ministro del Lavoro Giuliano Poletti - rischia di costare troppo.

Per promuovere la sua proposta Boeri ha provato a captare un po' di malcontento, prendendosela con i vitalizi dei parlamentari che - ha detto parlando nella Sala della Regina dopo l'intervento della presidente di Montecitorio Laura Boldrini - «dobbiamo chiamare con il loro vero nome. Si tratta di vere e proprie pensioni sottratte alle riforme previdenziali degli ultimi 25 anni». Bisogna rendere pubbliche le regole che li disciplinano e valutare «i tassi di rendimento implicitamente offerti a deputati e senatori» per compararli con quelli dei cittadini.

Uno sforzo, quello di Boeri, che rischia di non dare frutti. Poletti lo ha definito «un contributo indiscutibilmente utile» che verrà valutato «insieme alle proposte che sono già oggi presenti in Parlamento» e a quelle dei sindacati.

Un po' poco per un piano organico, annunciato come una rivoluzione.

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