Politica

La ricetta sul Sud del premier: il masterplan

RomaÈ l'ora del «masterplan» per il Mezzogiorno. Entro settembre, dice Matteo Renzi alla direzione del Pd, convocata ieri a Roma con sprezzo del pericolo vista l'afa e le vacanze.

«A metà settembre mi piacerebbe che il Pd uscisse con un vero e proprio masterplan (un piano strategico di programmazione territoriale, ndr ) per il Sud», annuncia il segretario. Spiegando che «è ora di finirla di dire di chi è la colpa» della questione meridionale, perché «ora la responsabilità è del Pd», che controlla non solo «il governo e il partito più votato d'Europa» ma anche «tutte le regioni» del meridione. Dunque ha «una responsabilità storica» e se non saprà cambiare la situazione la «colpa» sarà sua.

Il segretario sciorina elenchi di cose già realizzate (a cominciare dalle crisi industriali sbloccate dal suo governo, da Ilva a Termini Imerese) e di cose da fare. Ribadisce (forte di sondaggi che registrano un ampio consenso su questo) il rigetto dei «piagnistei» sul Sud, sottolinea che al Meridione non mancano certo i soldi ma «la politica» e che serve una «leadership sul territorio» capace di lavorare in sinergia col governo.

Poi lascia la parola al dibattito (affollatissimo nonostante la stagione, ci sono tutti i presidenti di regione Pd, molti sindaci, tanti ministri) e la scena diventa surreale: il Pd non sembra neppure più il Pd, tutti dicono bene del premier, lo ringraziano per la grande occasione di dibattito e gli offrono piena collaborazione, addirittura chiedono «abbracci» (Michele Emiliano). Un vero afflato unitario, con l'ex capogruppo Speranza - capofila della minoranza - che suggerisce l'immancabile «gruppo di lavoro» e Renzi che accoglie entusiasta la proposta, come se fosse un'ideona mai sentita. Il tutto proprio mentre, subito fuori dalla sala riunioni al terzo piano del Nazareno, infuria il Vietnam: dissidenti Pd e opposizioni, uniti nella lotta, presentano in Senato valanghe di emendamenti contro la riforma del bicameralismo. Per ora sono circa mezzo milione, ma il leghista Calderoli assicura che in aula diventeranno «sei milioni e mezzo». Roba da bloccare il Senato per un paio di legislature. Insomma, sulle riforme è guerra, con 167 senatori (ben più della maggioranza), che hanno firmato gli emendamenti per azzerare la riforma e tenersi il Senato - e il relativo scranno - così com'è. E con Bersani che incita i suoi a «mandare sotto il governo».

Schizofrenia palese. Ma intanto, in attesa dello scontro d'autunno, Renzi incassa un buon risultato: il temuto «asse del Mezzogiorno» contro il governo non si è saldato, grazie alla forte intesa stabillita da Palazzo Chigi con il presidente della Campania De Luca, e al suo lavorio diplomatico. Così i governatori del Sud hanno fatto a gara per dichiararsi con Renzi.

A cominciare dal Masaniello pugliese Emiliano, dal quale si temevano sfracelli e che invece è salito sul podio per spiegare che «a me delle questioni di corrente non frega nulla» e per dire «siamo con te, ma tu devi abbracciarci e fidarti di noi».

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