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Il richiamo della foresta: quegli ex Pci con D'Alema

Effetto Grasso sui dem, via anche Bassolino. La vecchia «Ditta» sogna la riscossa, obiettivo 10%

Il richiamo della foresta: quegli ex Pci con D'Alema

Roma Nel bene, ma forse più ancora nel male, la «rottamazione» renziana continua a dare frutti. Cadono uno dopo l'altro, solo che non sono scelte «mature» come prima. Nel senso che è davvero «cambiato verso»: prima era Matteo Renzi a cacciarli via, ora sono loro che se ne vanno. Ultimo ad annunciare un divorzio più che atteso, già consumato, 'o vicerè Antonio Bassolino: trattato malissimo nella disastrosa campagna elettorale napoletana e rimasto nel Pd - inspiegabilmente - fin oltre il referendum fallito da Renzi. «Ho resistito fino al congresso, un congresso inutile, senza politica, il Pd fa scelte imbarazzanti». Sono aspre le parole dell'ex ministro ed ex sindaco di Napoli, che ora guarda a Pietro Grasso e sembra essere finalmente uscito dal Pd solo per la speranza che il presidente del Senato sappia costruire attorno a sé un partito che ritrovi identità e forza. Bassolino parla di «scelta impegnativa», visto che è compiuta a 70 anni e che mira a ritrovare un tetto da sentir «proprio» ora che non ha più tessere. Anzi no: «Io una tessera l'ho sempre avuta, da quando, nel 1962, mi iscrissi al Pci».

Ma sarà l'Articolo 1 - Mdp di Grasso, Bersani e D'Alema una riedizione della vecchia indimenticabile «casa comunista»? Riuscirà a resuscitare se non un «richiamo della foresta», una vera e propria «chiamata alla armi»? Sicuramente no, dal punto di vista «tecnico» e politico. Probabilmente sì, guardando all'aspetto «affettivo», per così dire (anche a giudicare dall'età anagrafica dei promotori). La «ditta» tradita, umiliata e trasfigurata da Renzi vuole tornare facendo leva sull'orgoglio e sul patrimonio ideale che legava i suoi aderenti a prescindere dalle posizioni politiche contingenti. A ben vedere, è stato forse questo aspetto a non esser colto da Giuliano Pisapia, ormai condannato a un'eclissi che lo porterà - forse - alla listarella del 3 per cento assieme alla Bonino, al Psi di Nencini, a Benedetto Della Vedova, in qualità di «ascari» del Pd renziano. L'obiettivo degli scissionisti bersaniani è perciò assai più ambizioso, al limite del velleitarismo. Tornare con un risultato alle Politiche superiore al 10 per cento significherebbe spintonare il Pd altrove, verso il centro, e rendere «centrale» la scommessa di una rifondazione «ulivista» o, meglio, pidiessina. D'altronde l'elenco degli «ex» usciti, goccia a goccia, in polemica con il segretario è impressionante. A partire dal maggio '15, sono venuti via Civati e Fassina, Letta jr e il gruppetto di D'Attorre, Bersani e i suoi. Senza contare i pezzi di società che si sono via via allontanati dal Pd per giungere fin sulla soglia di Mdp: l'Anpi di Smuraglia e la Cgil della Camusso, Rosy Bindi e Tonino Di Pietro, Nichi Vendola e, da ultimo, persino il movimento della sinistra «civica» e radicale di Montanari e Anna Falcone. Proprio quest'ultima, in un'intervista al Manifesto, è sembrata pronta alla Grande alleanza, ponendo come condizioni soltanto la priorità del programma rispetto alla questione della leadership (ma ha avuto parole assai elogiative per Grasso) nonché la questione generazionale, ossia evitare che il gruppo dirigente venga composto soltanto dai «vecchi leoni» alla D'Alema. Prospettiva che sembrerebbe poter aggiungere alla vasta compagnia di sinistra, che si riunirà a dicembre, persino Rifondazione, ora capeggiata da Maurizio Acerbo.

Quest'ultimo è nipote dell'autore della legge elettorale di Mussolini: beffa del destino, e della storia.

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