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Pensioni flessibili per le donne, via a 82 anni col 10% in meno

Caos previdenza, l'ipotesi del governo potrebbe valere anche per gli uomini con almeno 35 anni di contributi. Servono 4 miliardi per risparmiarne 16

Pensioni flessibili per le donne, via a 82 anni col 10% in meno

Roma - Sulle pensioni, Matteo Renzi dà ragione a Cesare Damiano (e torto all'Inps). Il presidente del Consiglio annuncia che «stiamo studiando» forme di flessibilità in uscita anticipate «che, magari, hanno un piccolo aumento di costi nell'immediato, che vengono recuperati in prospettiva. Credo sarebbe un gesto di buon senso e buona volontà».

Esattamente la posizione del presidente della commissione Lavoro della Camera. Damiano ha anche quantificato questo «piccolo aumento dei costi», citato da Renzi: 4 miliardi nell'immediato con un risparmio in prospettiva di 16 miliardi.

I 4 miliardi servirebbero per favorire l'uscita dal mondo del lavoro di chi, compiuti i 62 anni d'età e con 35 anni di contributi sulle spalle, decide di smettere di timbrare il cartellino e ritirarsi dall'attività; invece di aspettare i 66 anni e 3 mesi. In compenso - sempre secondo lo schema di Damiano - dovrebbe rinunciare all'8% dell'assegno.

Anche Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, sembra orientato a questa soluzione. Soprattutto per scongiurare che l'innalzamento dell'età di pensione (previsto dalla riforma Fornero) possa bloccare per tre anni le nuove assunzioni, mantenendo al lavoro i «vecchietti». Il ministero dell'Economia è contrario a formule del genere; anche a fronte di quel che Renzi definisce «un piccolo aumento dei costi». Forse dopodomani Padoan e Poletti, in audizione congiunta a Montecitorio, potranno chiarire la posizione comune del governo. Il ministro dell'Economia esclude interventi in legge di Stabilità, mentre quello del Lavoro li sponsorizza (e, pare, anche Renzi).

Così ha facile gioco Susanna Camusso a sottolineare che «più che decidere sulle pensioni, il governo sta rimpallando la questione da un ministro all'altro». Secondo il leader della Cgil, il governo non può dire che un mancato intervento sulla flessibilità previdenziale in uscita è determinato dalle richieste di Bruxelles. «Se il tema è il rapporto con l'Europa - osserva - lo liquido con una battuta: se si può contrastare l'Europa sul taglio della tassa sulla casa non vedo perché non sulle pensioni». Gli altri sindacati, Cisl e Uil, invece chiedono a gran voce la convocazione a Palazzo Chigi per discutere l'argomento.

Benché Poletti continui a smentire ogni soluzione tecnica in circolazione, gli esperti del Lavoro e della presidenza del Consiglio fanno filtrare indiscrezioni a getto continuo. L'ultima, in ordine di tempo, è quella che nel 2016 le donne potrebbero ritirarsi dall'attività lavorativa con 62-63 anni, a condizione che abbiano maturato i 35 anni di contributi. In tal caso - dicono le voci - dovrebbero rinunciare ad una riduzione (permanente?) dell'assegno del 10%: il 3% in meno per ogni anno anticipato. Anche per gli uomini sarebbero allo studio soluzioni simili. A chi mancano 3 anni per la pensione, può andare a riposo con un taglio dell'assegno legato all'equità attuariale (cioè, per quanti anni in più prende la pensione), e non legato al calcolo contributivo.

Per coloro che dovessero soffrire di un taglio troppo incisivo, il governo avrebbe allo studio un prestito (da remuneare con gli assegni futuri) o con una sorta di assegno di solidarietà.

Se le due soluzioni dovessero passare, il costo a carico dello Stato - forse - sarebbe superiore ai 4 miliardi previsti.

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