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A rischio la rivoluzione del Tfr. Bloccata dai ritardi del governo

Non ancora emanati i decreti attuativi, potrebbe saltare la possibilità di usufruire di una quota dell'indennità di fine rapporto da inizio marzo

A rischio la rivoluzione del Tfr. Bloccata dai ritardi del governo

Roma - L'importante è l'annuncio, poi si vedrà. Ormai Matteo Renzi lo conosciamo bene. Il problema è che il premier sta cominciando a scherzare anche con i soldi dei contribuenti e queste facezie potrebbero costargli care. È il caso del Tfr in busta paga per i dipendenti del settore privato, strombazzato come una mirabolante innovazione dell'ultima legge di Stabilità. Peccato, che la possibilità di usufruire mensilmente - dal primo marzo 2015 al 30 giugno 2018 - della quota accantonata dell'indennità di fine rapporto sia legata all'emanazione di un decreto attuativo della presidenza del Consiglio che avrebbe dovuto vedere la luce entro il 31 gennaio. Se tutto va bene, se ne parlerà la settimana prossima.

Il ritardo non è questione da poco perché fra tre settimane il nuovo regime dovrebbe partire e magari qualche contribuente che ha cominciato a spendere ciò che non ha ancora ricevuto c'è già. È probabile che molti italiani non sappiano della novità e, finché non sarà messo tutto nero su bianco, non potrà nemmeno partire la campagna informativa. Il problema è che non si può dare notizia di qualcosa di cui oggi non siamo a conoscenza.

Il decreto attuativo, infatti, deve fare luce su due punti basilari riguardanti le modalità di adesione dei lavoratori e il funzionamento del Fondo di garanzia dello Stato istituito presso l'Inps. Per il primo punto occorre ricordare che la scelta è irrevocabile: chi volesse accedere all'erogazione della quota mensile di Tfr non potrà tornare indietro fino alla fine del periodo di sperimentazione, cioè giugno 2018. Il secondo punto è un po' più complesso. Le aziende con meno di 50 dipendenti, infatti, possono scegliere di non privarsi della liquidità garantita dall'accantonamento mensile del Tfr accedendo a un prestito. L'importante sarà versare un contributo mensile (pari allo 0,2% della retribuzione imponibile a fini previdenziali del dipendente) a un apposito Fondo Inps che ha una dotazione iniziale di 100 milioni e che serve a tutelare le banche che presteranno i denari alle aziende per l'erogazione del Tfr. Ma anche in questo caso c'è un ulteriore passo da compiere. Anche se l'Associazione bancaria italiana ha già siglato con il ministero dell'Economia diversi accordi per favorire accesso agevolato al credito per le imprese (e questa fattispecie vi rientrerebbe), occorre comunque aggiornare l'intesa. Ma senza decreto attuativo come si fa?

Vale, tuttavia, la pena di ribadire gli elementi basilari del Tfr in busta paga «modello Renzi». Primo: le somme aggiuntive ricevute saranno tassate ad aliquota marginale, cioè faranno reddito e quindi sarà applicato lo scaglione Irpef più elevato raggiunto dal singolo contribuente. Secondo le stime, se il 33% dei dipendenti scegliesse questa formula, il gettito Irpef e Iva (sui consumi) aumenterebbe di almeno 2 miliardi. Secondo: il Tfr in busta non impedirà, comunque, a chi ha un reddito annuo lordo inferiore a 26mila euro di ricevere il bonus, cioè gli 80 euro mensili per chi è sotto i 24mila e sopra gli 8mila euro. Terzo: chi ha originariamente destinato il Tfr alla previdenza complementare ma opta per l' hic et nunc rischia di ricevere un assegno integrativo a fine carriera con decurtazioni tra il 10 e il 30 per cento. Quarto: i lavoratori, che hanno un'anzianità aziendale di almeno otto anni e hanno bisogno di liquidità, possono ricorrere al tradizionale «anticipo», tassato al 23% e non ad aliquota marginale.

Quinto: Renzi avrebbe fatto meglio ad abbassare le tasse.

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