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Risveglio amaro della sinistra Tremano i feudi rossi italiani

Da Fassino alla Boldrini, l'infatuazione per Corbyn finisce nel ridicolo. Renzi: «Con l'estremismo si perde»

Risveglio amaro della sinistra Tremano i feudi rossi italiani

La maledizione di Fassino si è abbattuta anche sui laburisti britannici. Quando l'ex segretario Ds si lancia in una previsione politica si può essere certi che si avveri il contrario (memorabili le sue profezie su Grillo: «Se vuole fare politica fondi un partito e vediamo quanti voti prende»). L'ex segretario Ds si era espresso anche su Corbyn, in tempi non sospetti, indicandolo come esempio vincente da seguire: «Corbyn propone un nuovo referendum e indicherà di votare perché La Gran Bretagna rimanga nell'Ue. Scelta saggia, corrispondente ai sentimenti di tanti inglesi e auspicata dalla maggioranza degli europei». Inevitabile il tracollo del leader laburista.

Ma l'infatuazione per Corbyn non è circoscritta a Fassino, dal Pd a Leu la sinistra italiana si è illusa che fosse la volta buona, dopo le scottature prese con altri leader presi a esempi da cui ripartire, da Zapatero a Hollande, da Lula a Tsipras. Anzi sono stati soprattutto quelli di Leu a osannare Corbyn come nuovo apripista di un ciclo vincente per la sinistra europea. «Zingaretti guardi a Corbyn. C'è uno spazio enorme per i progressisti per costruire la nuova Ue» prevedeva Roberto Speranza, attuale ministro della Sanità del governo Conte. L'incontro lo scorso luglio tra Corbyn e Pietro Grasso aveva fatto sognare tutti gli esponenti Leu: «È un nuovo inizio per la sinistra in Europa» esultava Enrico Rossi, governatore toscano. «Corbyn-Grasso: la sinistra contro le disuguaglianze che unisce le forze e va oltre la Brexit» si emozionava Laura Boldrini, prima di passare al Pd.

Anche il segretario della Cgil, all'epoca ancora capo ella Fiom, vide nell'elezione di Corbyn alla guida del partito laburista britannico «un avviso all'Europa, il segno che si possono cambiare le politiche neoliberiste. Così la sinistra può ripartire» disse Landini. Ma nelle settimane scorse anche Repubblica ha sperato nel leader laburista, pronosticando (sotto il titolo «Provaci ancora Jeremy») che «alle elezioni di dicembre potrebbe persino farcela contro il favorito Johnson, perché è un campione di remuntada». Del resto molti opinionisti assicuravano che, se si fosse votato una seconda volta per la Brexit, i britannici avrebbero sconfessato il responso del 2016. E le analisi ricalcano quelle del dopo-Brexit, quando si indicò negli inglesi ignoranti delle campagne la ragione del successo della Brexit. Il giornalista Alan Friedman: «Il Financial Times mostra che Johnson ha vinto più voti laddove le gente è meno istruita e i lavoratori sono poco qualificati».

Il voto in Gran Bretagna scatena le faide già in corso nello schieramento di sinistra, al governo in Italia. É Renzi a cavalcare la disfatta della sinistra inglese per rinfacciare le nostalgie del Pd: «Non si vince radicalizzando a sinistra. E per aiutare la working class non servono libretti rossi e socialismo, ma riforme e crescita. Blair era un leader, Corbyn no». Zingaretti ora prende le distanze dallo sconfitto: «L'Italia dovrà incalzare l'Europa, specie dopo la vittoria dei Conservatori in Gran Bretagna, resa possibile anche dalla fragilità della proposta messa in campo dalla sinistra». Ma per il Pd è un altro segnale allarmante del vento che soffia in Europa, molto sfavorevole al centrosinistra. In Italia si è già materializzato in una serie di pesanti sconfitte, con la perdita di regioni e roccheforti per lungo tempo dominate dal Pd. E nel 2020 si giocano le partite chiave, dall'Emilia Romagna a Toscana, Marche e Campania.

Il Pd rischia di emulare i laburisti, ma non nel senso che sperava.

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