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Il ritorno in campo di Fazio contro l'euro e la Germania

L'ex governatore di Bankitalia oggi a un convegno: allarme su moneta unica ed egemonia tedesca

Il ritorno in campo di Fazio contro l'euro e la Germania

Antonio Fazio ha voglia di parlare: contro l'Euro, contro la Germania. E anche per dire che da sola la Bce di Mario Draghi non basta. L'ex governatore della Banca d'Italia, l'ultimo a firmare le banconote in Lire, non vuole un ruolo pubblico; la ribalta mediatica è l'ultima delle sue preoccupazioni. Tra quattro mesi compirà 80 anni, la sua vita si svolge senza clamori tra Roma e Alvito, il paese della Ciociaria dove è nato. Una pensione passata a leggere quotidiani stranieri, a parlare con amici economisti e a riflettere sull'Italia e l'Europa. Sono passati 11 anni da quando è uscito di scena. Prima lo scontro durissimo con l'ex ministro Giulio Tremonti, il caso Parmalat. Poi le vicende giudiziarie legate all'estate delle scalate bancarie e dei cosiddetti furbetti del quartierino, quindi le dimissioni nel 2005. Un anno fa l'assoluzione. La vicenda giudiziaria oggi gli appare come una parentesi, lunghissima ma chiusa. Se ha voglia di parlare è solo per sottolineare la gravità del momento e, sottotraccia, denunciare l'inadeguatezza delle risposte politiche.

L'occasione sarà un convegno del Centro studi americani che si terrà oggi in via Caetani 32, sotto l'egida dalla fondazione «Formiche». Titolo molto tecnico, «Ruolo delle Fondazioni bancarie; banche, direttive europee, economia reale», ma temi di stingente attualità. Il suo sarà l'ultimo intervento (prima parleranno Giuseppe Guzzetti, presidente Acri; Paolo Andrei, presidente Fondazione Cariparma, oltre al presidente del Centro Studi americani Paolo Messa e quello della fondazione Formiche Alberto Brandani), circostanza che lo farà assomigliare alle dodici Considerazioni finali che Fazio ha svolto nelle assemblee del suo mandato.

Fu lui a traghettare l'Italia dalla Lira alla moneta unica e oggi le perplessità di allora gli sembrano tristemente centrate. «Sarà un purgatorio, non un paradiso», disse illustrando il passaggio. Il Belpaese gli appariva non preparato, la scelta totalmente politica. La sua visione di allora si è concretizzata in un dato che illustrerà oggi alla platea del convegno. La competitività dell'Italia si è ridotta del 25% da quando abbiamo abbandonato la divisa nazionale. La politica ha festeggiato il changeover, ma ha completamente ignorato il suo compito: adeguare il sistema economico alla nuova realtà. L'Italia ne ha fatto le spese più di altri e non solo per la perdita della svalutazione come mezzo per competere nei mercati mondiali.

Fazio è preoccupatissimo per il ruolo egemone che sta assumendo la Germania dentro le istituzioni Ue e nei mercati europei. In un precedente intervento, una lectio magistralis sulla Grande guerra che si è tenuto a Trento nel 2015, Fazio aveva già sottolineato i rischi delle deflazione e la necessità di tornare a una inflazione perlomeno del 2%, che è l'obiettivo della Bce.

Oggi dovrebbe tornare sul tema, senza accusare la Banca centrale europea di Draghi, ma sottolineando come da soli gli strumenti di politica monetaria messi in campo da Francoforte non siano sufficienti.

Bisogna rilanciare gli investimenti pubblici e privati e abbandonare il rigore dei Patti europei, è il messaggio di Fazio, che era e resta un economista keynesiano. Sulla vigilanza bancaria la distanza con la Bce c'è. Per il suo successore in Bankitalia Mario Draghi è essenziale completarla. Per Fazio non può funzionare.

Sarebbe stato meglio lasciare questo compito alle banche nazionali, oggi svuotate di compiti.

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