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Il ritratto dell'arcivescovo: "Un desiderio di vita e amore"

Delpini va dritto al cuore: "Ha messo a frutto i talenti ricevuti. Che cosa posso dire di Silvio: è un uomo che ora incontra Dio"

Il ritratto dell'arcivescovo: "Un desiderio di vita e amore"

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Parte come un colpo di cannone: «Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care».

L'arcivescovo Mario Delpini ha un dono raro: entra subito in sintonia con i potenti e gli umili che lo ascoltano stupiti. Non ci sono preamboli, non ci sono disquisizioni teologiche, non ci sono vane frasi consolatorie.

C'è la vita che corre e scorre, la vita che si fa fatica a contenere perché è sete d'infinito. Figurarsi la biografia di un personaggio così fuori misura come Silvio Berlusconi. Ma i sogni, le ambizioni, le speranze e le disillusioni sono uguali per tutti. Certo, il Cavaliere è andato oltre. Non conosceva le vie di mezzo.

E Delpini lo racconta, descrive la sua epopea: «Vivere e intendere la vita come un'occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalla sconfitte e credere che c'è sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita».

Vivere: nel giorno della morte l'arcivescovo martella il verbo della vita. Quel corpo a corpo continuo e altalenante fra l'eterno e il contingente che fanno a pugni dentro di noi. Si sente la lezione di don Giussani: il Senso religioso, forse il libro più noto del sacerdote lombardo, è proprio la narrazione della sproporzione scandalosa che tutti noi viviamo fra la nostra miseria quotidiana e l'infinito che desideriamo, magari inconsciamente, e che ha il volto di Cristo.

Delpini va avanti: «Amare ed essere amato. Amare e desiderare di essere amato. Amare e cercare l'amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l'amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell'amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande».

Sì, la precarietà e il bisogno di afferrare qualcosa o Qualcuno per sempre. Magari procedendo a tentoni, fra errori e cadute. È la parabola dell'uomo contemporaneo, ma Delpini non vuole entrare almeno in questi passaggi della sua omelia nelle polemiche che hanno fatto da colonna sonora alla vita del Cavaliere. Per quelle ci sono altri segmenti della predica, qui si ci si affaccia sul mistero della vita e della morte, siamo da un'altra parte, alla latitudine che più dovrebbe premere a ciascuno di noi: «Ecco che cosa si può dire dell'uomo: un desiderio di amore che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento». Riecheggia, forse, il salmo 8: «Che cosa è l'uomo perché te ne curi?».

Delpini completa il suo piccolo poema: «Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia». È un catalogo quello che sfoglia Delpini. A tratti, quasi un campionario dell'antropologia berlusconiana, squadernata in modo sorprendente. La spuma dell'energia. E la fine: «E ora - è la conclusione - celebriamo il mistero del compimento. Ecco cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio». La misericordia. Un uomo. Solo un uomo, un peccatore nudo, senza titoli e corone come insegna la dottrina cattolica e come si lasciavano partire per l'ultimo viaggio anche gli imperatori d'Asburgo.

L'ultimo saluto nel Duomo di Milano ha la cadenza dell'addio nella Cripta dei Cappuccini di Vienna.

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