Economia

La rivincita sui profeti del declino Usa

Ecco quello che accade se i numeri vengono piegati alla propaganda

La rivincita sui profeti del declino Usa

Questa bolla scoppia in faccia ai teorici del declino americano. I fan del sorpasso a prescindere. Quelli che la Cina ha schiacciato l'America, perché il capitalismo occidentale è morto e s'è fatto seppellire dai suoi vizi, sfociati nelle crisi, nei crac e, appunto, nelle bolle speculative. Il crollo del mercato cinese bilancia la retorica del Dragone che mangia il mondo e che soprattutto divora quella che era l'ex potenza economica globale. La verità è un'altra. La verità è che i numeri dovrebbero essere numeri, ma vengono piegati dalla politica e dalla geopolitica e diventano presto propaganda. E negli ultimi anni la propaganda è stata anti-americana: la crisi del 2007-2008 ha galvanizzato i declinisti, che hanno dato per finito definitivamente il Secolo americano. Gli stessi che un anno fa hanno esultato come se fosse una competizione sportiva quando il Financial Times ha annunciato che la Cina avrebbe superato gli Usa nel 2015 e non nel 2019, come previsto dagli analisti. I dati su cui si basava il Ft erano quelli dell'International Comparison Program della Banca mondiale. E dicevano che Pechino sorpassava Washington sul Pil generato in relazione al costo della vita reale, noto come parità dei poteri d'acquisto (la sigla utilizzata nelle statistiche è Ppp). Ma quello è solo un indicatore della ricchezza prodotta e peraltro il meno efficace. Perché impone una parità di potere d'acquisto fittizia e non tiene conto del Pil nominale generato in quel Paese. E qui, ovvero nella ricchezza complessiva, non c'è partita: l'America ha un Prodotto interno lordo doppio, così come non c'è paragone nel Pil pro capite: quasi 50mila dollari a testa contro i settemila dollari a persona della Cina.

Se non bastasse, ai narratori dell'Oriente che ha già distrutto l'Occidente, conviene ricordare qualche altro dato: nelle classifiche, tutte, della capitalizzazione delle aziende quotate in Borsa, l'America è padrona assoluta. L'ultima disponibile, quella fornita da Price Water Coopers il 2 giugno con dati relativi al 31 marzo scorso, dice che l'azienda più ricca del pianeta per il quarto anno consecutivo è Apple, cresciuta del 54% rispetto all'anno prima e oggi valutata 725 miliardi di dollari. Al secondo posto Google, anche questa fino a prova contraria decisamente americana. Analizzando l'elenco si vede però che nelle prime cento società più capitalizzate del pianeta 53 sono statunitensi, con una netta crescita rispetto alle 42 del 2009 e alle 47 del 2014. La Cina? È seconda con 11 aziende, ben più vicina alla terza (la Gran Bretagna con 8) che alla prima.

La voglia di annunciare il sorpasso totale ha evidentemente fatto perdere di vista almeno un pezzo di realtà. La Cina è forte, fortissima, conta un miliardo e trecento milioni di persone, ha marciato per anni a livelli pazzeschi, con crescita a due cifre, ma decretare la fine degli Stati Uniti è stato un errore, oltre che un falso storico. Non è un problema d'oggi, comunque. Sono decenni che le profezie sul loro declino si rincorrono: prima avrebbe dovuto sconfiggerli l'Unione Sovietica o con le bombe o con l'avanzata comunista in Europa, così forte da isolare gli Usa nel loro territorio. Caduto il muro, la rincorsa dell'antiamericanismo si trasferì sull'economia: tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, sarebbe dovuto essere il Giappone a soppiantare l'America. La storia ha sconfitto falsi profeti e tifosi del tramonto, ma il mito della fine della supremazia Usa si è autoalimentato ugualmente e l'arrivo nello scenario internazionale ed economico della Cina l'ha aiutato. Il crollo della Borsa di Shanghai e di quella di Hong Kong ristabilisce un pezzo di verità e conferma una banalità che troppo spesso viene dimenticata: i crac sono ciclici, spesso fisiologici. Per tutti i Paesi, potenze incluse. Soprattutto dice che non c'è ancora un modello di crescita migliore di quello americano, occidentale, capitalista.

Crisi comprese.

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