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La rivolta dei Tory pro-Europa contro i falchi: "Non lasciamo il partito a estremisti e intrusi"

L'ex ministro Hammond: "Le minacce di espulsione non ci spaventano"

La rivolta dei Tory pro-Europa contro i falchi: "Non lasciamo il partito a estremisti e intrusi"

«È tempo di mettere l'interesse nazionale davanti alle minacce a noi e alle nostre carriere», spiega con tono solenne Philip Hammond. E in effetti è una battaglia epica quella del più autorevole dei ribelli conservatori, ex ministro dei Trasporti, ex ministro degli Esteri, ex ministro delle Finanze, che con una ventina almeno di deputati Tory ha deciso di disattendere l'ordine di scuderia del comandante in capo Johnson, votare contro il governo (e con l'opposizione) per fermare la Brexit senza accordo. Una levata di scudi, quella di Hammond, che è il segno di una lotta fratricida per l'anima del Partito conservatore. Una guerra a parti invertite rispetto ai precedenti storici. Un tempo erano gli euroscettici i disturbatori dei governi Tory, oggi sono gli europeisti la spina nel fianco di re Boris. Tra loro ci sono pesi massimi del partito. David Gauke, tesserato da 29 anni, ministro della Giustizia fino a luglio ed ex ministro del Tesoro, dove per anni ha lavorato come tecnico. E poi ancora Dominic Grieve, ex ministro della Giustizia, ex consigliere legale del governo, oggi capo della Commissione servizi segreti.

Sono loro che vogliono arginare la «catastrofe» del no deal. E vogliono farlo senza arretrare di un millimetro all'interno del partito. Nel giorno in cui il premier perde la sua maggioranza con il passaggio dell'ex sottosegretario Philip Lee ai Liberaldemocratici, Hammond è chiarissimo sulle sue intenzioni, pronto ad affrontare «la battaglia di una vita». Lui non intende lasciare, a differenza dei colleghi che stanno abbandonando la nave per le «pressioni» subìte dal team Johnson. Il premier ha fatto sapere che non ricandiderà i ribelli in caso di elezioni anticipate ed è pronto a usare «l'opzione nucleare»: saranno esclusi dal gruppo parlamentare e probabilmente espulsi. «Sono membro dei Tory da 45 anni - spiega Hammond - Questo è il mio partito e lo difenderò da intrusi ed estranei, gente che è al centro di questo governo e probabilmente non è nemmeno membro del Partito conservatore». La linea è ferma, il riferimento è chiaro. Hammond punta il dito contro Dominic Cummings, il consigliere di Downing Street chiamato da Johnson come braccio destro, l'uomo che sta a Boris come Steve Bannon stava a Donald Trump. È lui che ha messo l'acceleratore al piano per il no deal, che ha inoculato il germe del populismo anti-europeo nel Paese e nel governo, dopo aver orchestrato l'aggressiva campagna mediatica per il Leave, culmine di una militanza in un gruppo anti-euro in gioventù.

La sfida ora è fra i Conservatori di ferro e di lunga data e la squadra dei falchi alla Cummings, che «non sono e pare non siano mai stati» membri del partito (Downing Street non ha smentito). Ecco la battaglia che Hammond non si lascerà sfuggire. «Stanno trasformando i Tory da ampia squadra a piccola fazione». Pronti a decapitare chiunque non segua la linea di re Boris, come l'ex consigliera del Tesoro, Sonia Khan, cacciata dopo che il suo telefono è stato controllato, additata come la talpa che ha diffuso la notizia sulle intenzioni del governo di chiedere la sospensione del Parlamento.

Hammond e gli altri sono pronti a ricandidarsi nel «loro» partito e portare la questione in tribunale, se Johnson deciderà di fermarli. «Il coraggio genera coraggio» è uno dei cartelli esibiti dai manifestanti a Londra, citazione di Winston Churchill. La sfida anti-Brexit ne richiederà parecchio. Ma poi, se riuscirà, gli euromoderati dovranno trovare un'alternativa.

E su questo sono spaccati quanto il partito.

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