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Rivolta in Iran, furia ayatollah. Ahmadinejad è in manette

L'ex presidente accusato di sedizione: avrebbe incoraggiato le proteste contro i privilegi delle élite

Rivolta in Iran, furia ayatollah. Ahmadinejad è in manette

Sembra uno scherzo: Mahmoud Ahmadinejad sarebbe stato messo agli arresti domiciliari a Shiraz per incitamento al disordine. E il ministro dell'Intelligence ha dichiarato: «Tutto è nato da una sedizione interna». E nessuno ha fatto fatica a pensare che si tratti proprio dell'ex presidente. È un paradosso immaginare che nell'ambito della repressione contro la folla scesa in piazza per chiedere la libertà, sia stato rinchiuso anche il peggiore ex leader dell'Iran più duro, un vero fanatico, intento durante il suo mandato dal 2005 al 2013 a costruirsi la bomba atomica per distruggere Israele e per fare a pezzi l'odiata America, e dedicatosi nel frattempo alla maggiore repressione religiosa dei propri concittadini. È lui che costruì archi di trionfo e strade di marmo a Hom, per accogliere il Mahdi, ovvero il messia sciita, una volta che gli fu chiesto conto delle impiccagioni degli omosessuali, rispose che nel suo Paese non esistevano omosessuali. E che dopo un suo discorso all'Onu dichiarò che aveva improvvisamente percepito che lo spirito stava discendendo su tutta l'Assemblea, più o meno pronta a essere convertita. La verità è che Ahmadinejad è stato un personaggio feroce, irragionevole, degno della sua genesi come studente-rapitore degli americani nel '79. Ma si è sempre pregiato di essere di povera famiglia: ha posato, con la sua giacchina bianca sbertucciata e la faccia da miserabile, da uomo del popolo, e può darsi benissimo che abbia dichiarato durante una visita alla città di Busher che la leadership attuale è «distante dai problemi e dalle preoccupazioni della gente, non vive nella realtà, non sa nulla della situazione sociale. Credono di essere i padroni di una società ignorante». È una dichiarazione che si attaglia allo spirito populista di Ahmadinejad, uno che vuole tornare potente incarnando il proletariato, che già nel 2013 è stato arrestato, che nel 2017 voleva di nuovo correre per presidente e ne è stato sconsigliato da Khamenei.

L'arresto è legato alla reazione decisa del governo di Rouhani e degli ayatollah: l'oscuramento dei mezzi di comunicazione impedisce un'informazione precisa. Ma il tentativo di dare la rivolta per morta è una falsità. La ruota dello scontento e della fame di cambiamento gira, ed è più diffusa di quella del 2009, concentrata solo nelle grandi città. Anche sabato notte la gente è uscita per le strade; ci sono quasi 2mila persone imprigionate fra cui i tre quarti sono studenti, di un centinaio di loro non si sa più nulla. Il numero dei morti si conta a decine, ma anche qui le notizie sono nascoste. Ieri è stata convocata una seduta parlamentare cui hanno sentito il democratico dovere di partecipare ministri e guardie rivoluzionarie, gli stessi che poi senza complimenti ordinano la repressione.

Cosa succederà? È difficile dirlo. La folla è uscita in piazza soprattutto richiedendo una vita migliore. Abbiamo sentito predicare mille volte, mentre si stilava l'accordo sul nucleare, che esso avrebbe portato a una migliore economia e a una maggiore moderazione. È successo il contrario: l'Iran è diventato più attivo nel finanziamento di operazioni belliche e terroriste che hanno depauperato la popolazione. I regimi cadono quando si spezzano le classi dirigenti e gli apparati di sicurezza, e questo avviene solo quando la spinta internazionale dà coraggio al disaccordo interno. È indispensabile, ma sembra che solo Nikky Haley abbia espresso il suo supporto. Mentre è con un senso di vergogna che tocca a guardare come i francesi, voce europea al Consiglio di Sicurezza, ripetano che mentre guardano con «vigilanza e preoccupazione» chiedano di non accedere a «posizioni strumentali». Cioè che si seguiterà a commerciare. Che pena.

Per arricchire l'Iran? No, solo la classe dirigente, risponde il popolo in piazza, corrotta e guerrafondaia.

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