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La rivolta del Pd contro Verdini Bersani: via dal nostro giardino

L'ex segretario prova ad aprire un nuovo fronte. La fronda dem preoccupata: "Incassate le riforme, Matteo non avrà più ostacoli e potrà imporre la sua linea"

La rivolta del Pd contro Verdini Bersani: via dal nostro giardino

Ora che ha dovuto firmare la resa a Matteo Renzi sulla riforma del Senato, la minoranza Pd cerca di aprire nuovi fronti polemici con il premier. O almeno quella parte della minoranza, l'ala bersaniana, che si è piegata all'accordo con più sofferenza. E per farlo scopre l'«uomo nero»: Denis Verdini.

Già qualche sera fa, Pier Luigi Bersani aveva fermato i cronisti in quel di Mestre, durante un convegno (tema: l'enciclica papale), annunciando loro di voler «mettere alle strette» Renzi sulle «voci» secondo cui il segretario del Pd starebbe tramando con il senatore uscito da Forza Italia per sostituire la sinistra interna con i verdiniani, onde fondare il famigerato Partito della Nazione e sfrattare la minoranza: «Vogliono coalizzarsi con Renzi, che a loro è tanto simpatico», aveva spiegato, sottintendendo che a lui invece no. La cosa però aveva avuto poca o punta eco.

Ecco che allora l'ex leader Pd è tornato ieri all'attacco, durante un'intervista a Radio 24. Lanciando l'allarme sull'invasione di ultracorpi verdiniani che il Pd starebbe subendo: «Vedo il senatore Verdini e compagnia, con gli amici di Cosentino e compagnia, che stanno cercando di entrare nel giardino di casa nostra», denuncia il preoccupatissimo Bersani. Gli invasori del suo giardino avrebbero appunto in testa il losco piano di «fare la coalizione della nazione o il partito della nazione», i dettagli sono ancora da vedere. Di fronte a cotanto oltraggio «mi aspetterei che dal Nazareno (la sede nazionale del Pd, ndr ) venisse una parola chiara su questo delirio trasformista, perché non vorrei si sottovalutasse l'effetto che queste cose hanno sui nostri militanti».

Al Nazareno, però, nessuno pare interessato a commentare, e la replica a Bersani arriva dal senatore D'Anna di Ala, il gruppo verdiniano a Palazzo Madama, che denuncia «le menzogne che Bersani continua a propalare sui fantomatici amici di Nicola Cosentino che si aggirerebbero nel giardino di casa sua». E gli raccomanda di «stare sereno», perché «stiamo bene nella casa dei moderati e non in quella degli ex comunisti. Quanto alle pregresse frequentazioni - conclude il perfido D'Anna - possiamo solamente ricordare a Bersani che non abbiamo mai frequentato né le coop rosse né tantomeno Filippo Penati». A dare manforte all'ex segretario Pd arriva invece il senatore Fornaro, uno degli ultrà anti-riforma della minoranza ora rientrato nei ranghi, che stigmatizza «lo strano silenzio del Nazareno» sulla «questione politica» sollevata da Bersani. Mentre il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, chiede in pratica a Renzi di impedire ai senatori di opposizione di votare per la riforma, perché se il sì di Verdini arrivasse (come per altro è arrivato in ogni altra lettura del ddl) «segnerà la qualità delle riforme e dei provvedimenti governativi e tutta la transizione politica e istituzionale ed economica e sociale di cui Renzi si propone come leader». Insomma, è la tesi del governatore, «Renzi deve dire no grazie» a tutti gli apporti esterni alla maggioranza. Un monito bizzarro, che però rivela l'estremo disagio di una sinistra post-Pci che vede sempre più cancellato il proprio ruolo e i propri spazi di potere nel Pd a trazione renziana.

E che soprattutto sa, come spiega un esponente della minoranza, che «una volta passata la riforma del Senato e confermato l'Italicum, Renzi non avrà più alcun ostacolo davanti a sé per imporre la propria linea, nel parlamento e nel partito».

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