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La rivoluzione dello spumante e il rapimento Br: addio Gancia

Ha sviluppato il mercato delle bollicine "brut" della storica azienda fondata dal nonno. Nel '75 il sequestro brigatista

La rivoluzione dello spumante e il rapimento Br: addio Gancia

Per un capriccio del tempo, si era tornato a parlare di lui nelle scorse settimane. Con l'aiuto delle nuove tecniche d'indagine, gli investigatori avevano rispolverato i vecchi fascicoli sulla forsennata sparatoria che aveva scandito la sua liberazione: Vittorio Vallarino Gancia era stato liberato dalle forze dell'ordine, Mara Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse e moglie di Renato Curcio, era rimasta uccisa insieme a un giovane carabiniere; un secondo terrorista era scappato e proprio nei giorni scorsi, quasi mezzo secolo dopo quel lontano episodio degli anni di piombo, il suo nome è trapelato: potrebbe trattarsi di Lauro Azzolini, altro nome storico delle Br.

Vittorio Vallarino Gancia è morto a novant'anni nella sua casa di Canelli, dove era nato il 28 ottobre 1932.

La sua biografia tocca la parabola dell'eversione a cinque punte ma il suo cognome è di quelli che hanno fatto la storia dell'enologia italiana sulle colline raccontate da Cesare Pavese in quel romanzo struggente che è La luna e i faló. Canelli è una delle capitali del vino italiano con sfoggio di grandi marchi - dai Riccadonna ai Contratto - e una parte del merito va ai Gancia e a Carlo, il bisnonno di Vittorio, che nel 1850 fondò l'azienda e nel 1865 inventò lo spumante tricolore, quello che utilizza il metodo classico, aprendo un'infinità contesa con i francesi e lo champagne.

Ecco, già nel decennio di Cavour e poi agli albori dell'unità del Paese, i Gancia utilizzavano le tecnologie più avanzate in una realtà che era indietro anni luce e pensavano in grande. Un destino che a Canelli non hanno mai tradito e Vittorio, al timone dell'azienda per lunghi decenni prima di diventarne presidente onorario, ha fatto la sua parte. In particolare, si deve a lui lo sviluppo del mercato degli spumanti secchi, in una terra votata allo spumante dolce e ai brindisi del Natale, e fu sempre lui a sbarcare in Puglia, a Rutigliano, nel 1984, puntando su Cabernet, Pinot, Sauvignon e trascinando l'imprenditoria locale sulla strada della modernizzazione.

Nel corso di una lunghissima carriera ha collezionato anche molte cariche: è stato presidente di Federvini, di Unione Vini e della Camera di commercio di Asti. «Era un uomo visionario - spiega il sindaco di Canelli Marco Lanzavecchia - e Canelli è conosciuta in tutto il mondo grazie alla famiglia Gancia. La loro cantina è una delle quattro case vinicole che hanno portato al riconoscimento di Canelli come patrimonio Unesco».

I filari. Le botti. La saga di famiglia. E poi quella pagina inquietante di cronaca nera che taglia gli anni Settanta e segna l'avvio di una stagione di sangue. Le Br, che l'anno prima a Padova hanno ammazzato per la prima volta due militanti missini, hanno bisogno di soldi. Organizzano quindi il sequestro dell'industriale, il re dello spumante, che viene portato via il 5 giugno 1975, poco dopo aver lasciato la sua abitazione a Canelli, ai confini di Langhe e Monferrato. L'ostaggio viene portato alla Cascina Spiotta, non lontano da Acqui Terme, e qui i carabinieri che stanno setacciando il territorio arrivano il giorno dopo, quando è già stato chiesto il riscatto: un miliardo di lire. I militari non sanno che hanno raggiunto l'obiettivo delle loro ricerche e vengono colti di sorpresa dalla reazione furibonda dei brigatisti che aprono il fuoco con armi automatiche e lanciano bombe a mano.

Nella sparatoria muore il brigadiere Giovanni D'Alfonso e due militari che erano con lui restano gravemente feriti. Ma cade anche Mara Cagol, mentre un altro militante si dilegua nelle campagne. Quarantasette anni dopo, gli specialisti del Ris sono sulle sue tracce e con ogni probabilità, come ha raccontato Luca Fazzo sul Giornale, hanno ricostruito la sua identità: si tratterebbe di Lauro Azzolini, uno dei protagonisti della storia del partito armato in Italia, membro del commando che gambizzó Indro Montanelli, poi arrestato e condannato all'ergastolo.

Azzolini, oggi settantanovenne, ha risposto in modo enigmatico al Giornale: «Dico solo che di quell'azione si assunsero la responsabilità le Brigate rosse».

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