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Roma, Milano e l'aiuto di Verdini Renzi all'Expo per cucinarsi il Pd

Oggi assemblea del partito nei padiglioni di Rho. Il premier cerca il rilancio mediatico per nascondere i guai nelle grandi città e il possibile soccorso del senatore in Parlamento

Roma, Milano e l'aiuto di Verdini Renzi all'Expo per cucinarsi il Pd

Fuori sono previsti 40 gradi all'ombra, dentro ce ne sarà qualcuno di più. Un forno incubatore, anzi un effetto-serra nel quale si celebra la desertificazione del Pd come l'abbiamo conosciuto e la più strabiliante metamorfosi della storia politica recente: il partito sta per diventare «pigliatutto». Bulimico, opulento, in pratica un fast food parlamentare ad alto contenuto di colesterolo.

Ora è evidente a chiunque come il problema del Pd non sia mai stato quello dell'alimentazione, e resta perciò un mistero buffo la capricciosa scelta di tenere la propria assemblea nazionale al salone dell'Expo milanese (oggi dalle 10 alle 17). Una modalità di comunicazione- trendy che fa trapelare assai più di quel che voleva il segretario Matteo Renzi. Sembra fatto apposta: in quel coacervo di cibi polimorfi, in quel crocevia di papille gustative mondiali, la presenza del Pd ci sta proprio come il cacio sui maccheroni.

Il piatto che verrà sfornato rovente, si direbbe persino flambé , è quello recapitato da Denis Verdini e dalla sua pattuglia di affamati, divorapoltrone, inappetenti pentiti ma ora già pronti all'abbuffata renziana. Si vocifera di promesse di sottosegretariati come di presidenze in enti defilati però lucrosi: in settimana, fa sapere Verdini, ci sarà il gruppo in Senato bello caldo per far andare avanti le riforme impantanate del premier e spedire la legislatura fino al traguardo del 2018, come vorrebbe Mattarella e di sicuro vuole Renzi. Cui non difetta - e di questo i verdiniani dovrebbero tener conto - la capacità di sfornare a sua volta promesse, sempre smentite dai fatti. Come, detto per inciso, quella sul commissario per Bagnoli che sarebbe dovuto uscire dal Cdm di ieri, un venerdì 17 in duplice sfregio al sindaco De Magistris e ai napoletani; invece nulla, anche il commissario è caduto nel gorgo nero del non-mantenuto.

Nel periodo forse più stanco della corsa renziana, l'assemblea di oggi sarà perciò l'ennesimo tentativo di rilancio mediatico sulle riforme. E di chiacchiere stratosferiche su tutto, a cominciare dalla sfida vinta dell'Expo, pur non voluto da Renzi, e nonostante circa due milioni di visitatori in meno del preventivato. Non si parlerà delle crisi locali che attanagliano le grandi città, nelle quali il Pd mostra per intero la propria incapacità politica e gestionale, se non intesa come persistenza al potere, per il potere (vedi Milano, Roma, Sicilia). Non si dirà di come dribblare le primarie milanesi, con il partito lacerato e il sindaco Pisapia ancora in grado di far pesare il proprio prestigio personale. Non si dirà dei trabocchetti e dei tranelli tesi al sindaco Marino e al governatore Crocetta - sopportati e mai amati, senza per questo avere la forza di mandarli via. La verità sta proprio in questa forza pidina che è finta, di cartone, con piedi d'argilla. «Se si vota, Renzi va a casa», sostiene Salvini, e non è lontano dal vero.

La stessa finzione è quella che regge in Senato, dove senza l'arrivo dei verdiniani (qualcuno preme persino per un accordo sulle riforme con i fittiani), l'azione del governo inesorabilmente si spegnerà. Eventualità che agita una minoranza interna ormai monca di Fassina e Civati, che tiene una contromanifestazione proprio nella Firenze dell'ex sindaco. «Non consentiremo che si butti fuori la sinistra per far entrare Verdini», lamenta l'ex leader Bersani. «Spero che Renzi smentisca intese con Verdini e senatori amici di Cosentino e Lombardo. No al calciomercato», dice Gotor. «Sarebbe folle, Renzi deve evitarlo», ribadisce l'ex capogruppo Speranza.

Eppure proprio di quello si tratta, di un partito disperato che si deve pur aggrappare a qualcosa.

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