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Roma vota sull'Atac: così il referendum può salvare la città

Per il «Bruno Leoni» mettere a gara i bus può portare a sanare i debiti della capitale

Roma vota sull'Atac: così il referendum può salvare la città

«L'Atac è dei romani». C'è qualcosa di paradossale nello slogan del fronte del No al referendum su cui Roma si esprimerà oggi. L'azienda dei trasporti dell'Urbe ha un debito di 1,6 miliardi e negli ultimi due anni ha perso 2,1 milioni di euro al giorno, in più continua a ridurre il servizio. L'Atac è dei romani? Ma chi vorrebbe un'azienda così?

Per nascondere la semplice verità che l'Atac non solo è fallimentare (ha evitato il crac solo nascondendosi dietro allo scudo del concordato che tiene lontani temporaneamente i creditori), il fronte del No ha messo in piedi una campagna tutta basata sulla distorsione del senso del referendum, agitando lo spettro della «privatizzazione» che, in una città che campa di pubblico impiego, suona come un anatema.

In realtà il referendum promosso dai Radicali, propone semplicemente di tagliare il cordone ombelicale che lega in modo perverso Comune e Atac, mettendo a gara il servizio e favorendo la concorrenza. Le linee potrebbero essere spacchettate e affidate a gestori diversi, basando l'assegnazione sulla qualità del servizio oltre che sui costi.

In testa al fronte del No ci sono ovviamente i sindacati cui interessa tutelare l'enorme bacino di lavoratori delle municipalizzate romane (la sola Atac ha quasi 12mila dipendenti), ma anche la giunta Raggi ha fatto di tutto per non pubblicizzare il referendum, contraddicendo tranquillamente l'amore grillino per la democrazia diretta. In più, come da tradizione romana, 700 dipendenti Atac, cioè la categoria che ha promesso di boicottare la consultazione, saranno chiamati a fare gli scrutatori.

Eppure un dossier preparato da due studiosi dell'Istituto Bruno Leoni spiega in modo chiaro per quale motivo la messa a gara del servizio non solo potrebbe finalmente restituire a Roma un servizio di trasporto dignitoso, ma potrebbe contribuire in modo fondamentale a salvare la città dal buco nero dei debiti in cui sprofonda. L'autore dello studio, Andrea Giuricin, calcola che adottando le migliori pratiche europee di gestione del trasporto cittadino, si arriverebbe a risparmiare 450-500 milioni di euro l'anno. Cioè proprio la cifra di tasse extra che vengono raccolte ogni anno dalle tasche dei romani per colmare il debito accumulato da decenni di gestione predatoria della città.

Come spiega il paper dell'Istituto Bruno Leoni, a Roma c'è già un esempio di gestione privatistica, quella del consorzio Roma Tpl, cui è stato affidato il 20 per cento delle linee urbane, quelle più periferiche. La gestione è tutt'altro che perfetta, anche perché la gara è stata fatta male (l'ha curata la stessa Atac) e si è creato un enorme contenzioso con il Comune con mancato pagamento degli stipendi per alcuni mesi. E, paradossalmente, la Raggi gli ha prorogato l'affidamento senza gara. A parità di disagi, questa gestione è comunque molto più economica di quella Atac che invece con la giunta Raggi continua a salire. Giuricin calcola che sia arrivata a 6,47 euro per vettura/chilometro (unità di misura con cui si calcola il costo dei trasporti) dai 5,94 euro del 2015. La gestione del ramo privato, Roma Tpl, costa 4,02 per vettura/chilometro, quasi il 40 per cento in meno. Ma non solo: secondo il paper dell'Istituto Bruno Leoni, le migliori pratiche di trasporto locale in Europa fanno scendere il trasporto a 2-2,4 euro. Ma niente: il partito della conservazione preferisce tenere in piedi un carrozzone che negli ultimi 9 anni ha bruciato sette miliardi di contributi pubblici, tagliando le corse di 20 milioni di chilometri l'anno.

Sarà anche pubblico, ma non è un servizio.

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