Cronache

Romito re degli chef batte anche Bottura. E Milano resta indietro

Abbiamo incrociato le tre principali guide italiane. Il guru della cucina perde il primato

Romito re degli chef batte anche Bottura. E Milano resta indietro

È l'altra barba della cucina italiana, lui meno ieratico e pontificale del «francescano» di Modena Massimo Bottura eppure forse più stimato e apprezzato nell'ambiente, se non altro perché la sua reputazione se l'è costruita in un far west appenninico, nella pochissimo glamour Castel di Sangro. Eppure Niko Romito, che del cow boy ha anche un po' il nome, è di un pelo davanti a Bottura nella classifica che incrocia i punteggi delle ultime edizioni delle tre principali guide italiane di ristoranti. La guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso, quella I Ristoranti d'Italia 2018 dell'Espresso e la mitologica Guida Michelin Italia 2018.

La classifica che leggete non la troverete da nessun'altra parte. È frutto del lavoro che chi scrive compie a ogni autunno e che anche negli anni precedenti avete potuto leggere. Il sistema è aritmetico anche se necessita di alcune precisazioni dettate dal buon senso. Per rendere omogenei i punteggi abbiamo deciso di trasformarli in centesimi. Per la guida del Gambero Rosso nessun problema: i voti sono già in centesimi (Niko Romito, per dire, ha 96). Per la guida dell'Espresso, che da due anni, dopo il 20 ventesimi dati a Bottura nell'edizione 2016, ha abolito i voti introducendo cinque categorie (da cinque a un cappello), abbiamo usato questo criterio: 95 punti per i soli cinque «cinque cappelli», 90 per i «quattro cappelli», 85 per i «tre cappelli», 80 per i «due cappelli» e 75 per il cappello singolo. Da quest'anno il volume curato da Enzo Vizzari ha introdotto però una novità, il cappello d'oro, sorta di riserva indiana per i locali che vantano una storia gloriosa ma che - lettura nostra - non hanno più molto di nuovo da dire: si va da Marchesi alla Scala all'Enoteca Pinchiorri di Firenze, dal San Domenico di Imola a Don Alfonso 1860 sulla penisola sorrentina. Abbiamo deciso di parificarli ai «quattro cappelli», essendo chiaro che per il curatore della guida non rappresentano più l'eccellenza assoluta meritano comunque una laurea «ad honorem». Per la Michelin abbiamo scelto di dare 95 alle nove tre stelle, 90 alle 41 due stelle e 80 alle 306 monostelle. Abbiamo abbassato quest'ultimo punteggio (l'anno scorso era 85) perché abbiamo ritenuto che l'enormità del numero dei ristoranti appartenenti a questa categoria abbassasse inevitabilmente il livello medio.

Da questi calcoli è uscita fuori la classifica che vedete: con l'abruzzese Romito davanti a tutti e, nella top ten, due lombardi, un emiliano, un piemontese, un veneto, un laziale, un toscano, un marchigiano e un altoatesino. Quindi nove regioni differenti nelle prime dieci posizioni, segno di una qualità diffusa e non concentrata in una sola area del Paese. Il primo ristorante in classifica con sole due stelle è Uliassi a Senigallia, sesto a pari merito con 278 punti, il primo con una sola stella è Lorenzo a Forte dei Marmi (262). L'unico ristorante di una grande città al vertice è La Pergola, regno romano di Heinz Beck.

Il primo ristorante milanese è il Seta del Mandarin Oriental guidato in cucina dal bravissimo salentino Antonio Guida.

La Lombardia ha anche il maggior numero di ristoranti nei primi 40 (che diventano 42 per necessità di pari merito: sono 8 in quattro diverse province.

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