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La ruspa travolge Bossi e Maroni

Forfait del Senatùr e giallo sulla presenza di Bobo: ero sul pratone

La ruspa travolge Bossi e Maroni

Pontida - La Lega nazionale riempie di folla Pontida, la vecchia Lega va in soffitta senza tanti complimenti. Non era mai successo che Umberto Bossi non fosse neppure presente al raduno (nel 2004, anno del malore, l'evento fu annullato), ma il popolo leghista non sembra patirne la mancanza. C'è il Capitano Matteo, basta e avanza lui, Umberto è il passato.

La ragione ufficiosa è che Bossi sia stato bloccato da un mal di schiena ma è chiaro che la presenza o meno del fondatore spesso critico verso Salvini - sia un dettaglio ormai del tutto secondario per la Lega. L'assenza è doppia, non c'è neanche Roberto Maroni, anche lui veterano mai mancato a Pontida. Perché? È all'estero, la risposta frettolosa. Lui in serata su Facebook però apre il giallo: «Oggi è stata una Pontida straordinaria, che ho vissuto da orgoglioso militante». C'era allora? Dalla Lega nessuno conferma. Ci sarebbe una lettura più maliziosa per la sua assenza, dalle divergenze col segretario federale sulla linea della Lega al contratto di governo col M5s osteggiato da Maroni fino alla rinuncia a ricandidarsi in Lombardia comunicata all'ultimo a Salvini (si racconta di una sfuriata in quella occasione), di motivi di raffreddamento nel rapporto tra i due se ne possono trovare molti. E si può anche leggere nell'impegno preso solennemente da Salvini di restare capo della Lega pure da ministro («Nessuno può togliermi dal cuore l'orgoglio e la passione di essere il segretario di questa meravigliosa Lega, conto di farlo a lungo») una risposta diretta proprio a Roberto Maroni che gli aveva consigliato da ex ministro dell'Interno di lasciare l'incarico politico nel partito per dedicarsi solo a quello istituzionale. Ma comunque Salvini li ringrazia pubblicamente entrambi per non alimentare polemiche: «Non smetterò mai di ringraziare chi mi ha dato la voglia, la passione le idee e il coraggio per cominciare. Si chiamano anzitutto Umberto Bossi e Roberto Maroni». E anche Maroni ringrazia. Un leghista attaccato alle transenne mostra il suo trofeo: un poster con le firme di tutti i big leghisti raccolte dal 2016, a partire ovviamente da Salvini, «ma quella di Maroni non c'è, non mi interessa» dice. Chi dissente dalla Lega secondo Matteo, è bandito anche dai militanti.

Della vecchia guardia leghista restano solo Roberto Calderoli, ma senza più ruoli di peso, e Giancarlo Giorgetti, già consigliere di fiducia di Bossi e poi di Maroni, ora vice di Salvini e ufficiale di collegamento del governo a Palazzo Chigi. L'ex ministro Roberto Castelli lo si incrocia nel gazebo dell'Umanitaria Padana, onlus guidata dalla moglie. Borghezio, che un tempo aveva il ruolo di scaldapubblico a Pontida, distribuisce copie di un giornalino «Idee Per L'Europa dei Popoli» con il suo editoriale eloquente già dal titolo su come vanno le cose: «Un monumento a Salvini». L'ex vicepresidente leghista della Lombardia, Andrea Gibelli, riconfermato alla presidenza di Ferrovie Nord, osserva lo svolgimento della kermesse dall'area riservata agli accreditati, ma come tecnico esterno. Sono i reduci della stagione precedente della Lega. Per gli altri c'è stata la ruspa. Quelli dell'ultima era Bossi, i cerchi magici ormai dispersi, i governatori come Roberto Cota, la galassia che orbitava attorno al Senatùr, ormai collassata insieme al vecchio Carroccio.

Roba da album dei ricordi leghisti.

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