Cronache

Sì ai rifugiati gay, ma solo sulla parola

Niente test per i richiedenti asilo, anche se l'omosessualità è alla base della domanda

Sì ai rifugiati gay, ma solo sulla parola

Roma La concessione dell'asilo non può essere vincolata ad un test psicologico teso a stabilire l'orientamento sessuale dell'immigrato che la richiede. Anche se il suo diritto ad ottenere lo status di rifugiato è strettamente connesso al fatto che nel suo paese di provenienza gli omosessuali sono perseguitati. E si tratta comunque di una inaccettabile ingerenza nella sua sfera privata. Così ha stabilito la Corte di Giustizia Ue che dunque sollecita tutti gli stati membri a rispettare la privacy degli immigrati. I giudici di Lussemburgo invitano anche a tener contro conto del fatto che un test per «provare» l'omosessualità non è indispensabile per confermare o meno le dichiarazioni di chi richiede la protezione internazionale perché è il suo orientamento sessuale a metterlo a rischio.

La sentenza si riferisce al caso di un richiedente asilo proveniente dalla Nigeria. Nell'aprile del 2015 aveva chiesto alle autorità ungheresi di riconoscergli lo status di rifugiato perché perseguitato a causa della propria omosessualità. Ma la perizia psicologia alla quale era stato sottoposto non aveva confermato la sua omosessualità e dunque la domanda di asilo era stata respinta. L'uomo aveva subito presentato ricorso sostenendo che i test psicologici della perizia non solo violavano i suoi diritti fondamentali ma non rappresentavano neppure un valido strumento ai fini della valutazione del suo orientamento sessuale.

La Corte di Giustizia Ue in sostanza non pone un divieto sulle perizie ma ne ridimensiona il valore ed il peso ai fini della decisione sulla concessione dell'asilo. Dunque le perizie sono lecite ma devono essere eseguite da persone competenti e in particolare devono tenere conto del «diritto al rispetto della vita privata e famigliare». I giudici osservano anche che il consenso dell'interessato alla richiesta di perizia deve essere libero e non può esserlo se dalla perizia dipendesse la concessione dello status di rifugiato.

Dunque l'eventuale ricorso a test psicologici deve essere circoscritto nel perimetro della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, nel rispetto della dignità umana e della vita privata e familiare. E invece nel caso esaminato dai giudici di Lussemburgo questo rispetto è mancato.

E comunque l'affidabilità della perizia è limitata e la sua utilità può sempre essere rimessa in discussione.

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