Economia

Sì alle uscite flessibili. Ma senza oneri per lo Stato

Sì alle uscite flessibili. Ma senza oneri per lo Stato

Secondo la Corte dei Conti l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni previsto dalla riforma Fornero è essenziale, al fine di mantenere l'equilibrio dei conti pubblici in quanto la speranza di vita delle persone che compiono 65 anni si è allungata di due anni e per conseguenza la spesa per pensioni si accresce. Le pensioni sono il 17% del Pil, cifra molto elevata, che dipende dalla crisi che ha rattrappito la crescita del Pil. La speranza di vita a 65 anni in media è di 20 anni perché comporta mediamente che la vita termini a 85 anni. Se l'aumento di due anni riguardasse chi ha 85 anni, dal prossimo anno la spesa per le pensioni aumenterebbe del 10%, perciò salirebbe dal 17,2% del Pil al 18,9% del Pil. Cifra catastrofica. Però l'aumento della vita media di 2 anni non riguarda chi ha 85 anni ma chi ne ha 65. Pertanto nel 2018, se non si applicasse la riforma Fornero, ci potrebbe esser un aumento di spesa per pensioni di un ventesimo di quel 1,7% del Pil ossia lo 0,08%, cifra molto più sopportabile. Ed è di questo ordine di grandezza che si sta ragionando quando si discute di porre o meno un alt alla riforma Fornero. Il calcolo che ho fatto è molto approssimativo. Per prudenza diciamo che si sta discutendo dello 0,1 annuo di aumento. In una finanziaria triennale si tratta di 0,3 punti nel terzo anno, una cifra sostanziosa. Propongo che l'aumento di età per la pensione previsto dalla riforma Fornero sia dimezzato con una riduzione dell'aumento. Che comporta di alzare solo della metà all'anno l'età di pensionamento. Ma in termini di pensione contributiva ciò dovrebbe comportare comunque un onere di riduzione della pensione, che potrebbe essere alleggerito, consentendo al pensionato di riscattarlo, in primo luogo svolgendo (dopo l'andata in pensione) attività lavorative facoltative, che implicano il pagamento di contributi sociali. L'obbligo che attualmente esiste di versare i contributi per il lavoro che si fa quando si è in pensione, dal punto di vista logico, si basa sull'assunto che la pensione non sia contributiva. Infatti quando lo è, non è sensato obbligare il pensionato che lavora a versare gli ordinari contributi, perché anche se anche lavorasse per quindici anni consecutivi e potesse maturare una nuova pensione, non la percepirebbe per tanti anni quanti chi ha appena compiuto 65 anni. L'onere per il pensionato del meccanismo descritto, inoltre potrà essere ridotto, mediante sostegni di credito agevolato, come s' è già fatto, con l'Ape. La proposta è dimezzare gli effetti della riforma Fornero e di affiancarla da un'Ape, ma di non modificare il risultato per il bilancio dell'Inps. Non sarebbe necessaria, se non avessimo un rapporto debito pubblico/Pil del 132% e se il governo non persistesse nel prorogare la data del quasi pareggio di bilancio, accumulando, così, nuovi debiti. Questa non è l'unica soluzione possibile, per evitare la bancarotta dell'Inps. Ma il pericolo c'è, se si fa un rinvio secco dell'aumento dell'età della pensione stabilito dalla legge Fornero.

Il monito della Corte dei Conti non va ignorato.

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