Politica

Sala si crede il Macron italiano. E sogna Palazzo Chigi

Dopo il gelo con Renzi, ora il sindaco di Milano trama con salotti chic e bersaniani

Laura Cesaretti

Roma «Ora fa il sindaco, certo. Ma Beppe Sala si è convinto di una cosa: «Macron c'est moi, il futuro leader italiano sono io». A sentire chi conosce bene retroscena e equilibri politici della «Capitale morale», c'è questa segreta, esagerata ambizione dietro il grande gelo calato tra il primo cittadino milanese e il suo Pigmalione, Matteo Renzi.

A convincerlo del suo inespresso potenziale è stato quel milieu salottiero milanese che naviga tra BancaIntesa e la finanza, il Corriere della Sera e la tecnosinistra chic prodiana che alle primarie Pd tifava Orlando. Milieu che ha accettato e in qualche caso subíto Renzi, ma che ora farebbe di tutto - persino la corte a Grillo - per liberarsene. L'operazione, spiegano i ben informati, è iniziata «dopo il 4 dicembre». Fino al referendum costituzionale, sia pure con qualche prudenza, Sala era rimasto lealmente a fianco di Renzi. Subito dopo, invece, ha iniziato le grandi manovre per distanziarsi e ritagliarsi un ruolo autonomo e anche critico verso il leader Pd.

In quelle settimane uno dei principali consiglieri del primo cittadino, l'esperto di public relation Marco Pogliani, creò scalpore e brividi in alcuni salotti milanesi confidando che «secondo noi, ormai, Renzi è morto, e dopo di lui ci sarà bisogno di un uomo di mediazione, capace di tenere insieme moderati e progressisti. Un po' come Beppe». Che guida una coalizione molto spostata a sinistra, ma viene dal vivaio Moratti e ha buoni rapporti con pezzi di centrodestra, da Maroni allo stesso Pogliani. E dunque, dicono i suoi sponsor, sarebbe «il premier ideale per una futura grande alleanza post elezioni tra Berlusconi e il Pd». Col vantaggio che, dicono i maligni, essendo Sala un politico assai inesperto, i suoi sponsor avrebbero margini di manovra assai superiori a quelli - scarsi - lasciati loro da Renzi.

Come sindaco, Sala inizia a percepire la difficoltà - tanto più per un non politico - di governare la città: difficoltà crescente man mano che va a scemare la «rendita» dell'amministrazione Pisapia, e che di qui a qualche mese potrebbe riservare sgradite sorprese in termini di consenso. «Su periferie e case popolari, nonostante le promesse, non ha ancora avviato alcun intervento, - dicono i suoi critici nel centrosinistra - non è partita nessuna nuova opera, non sono stati neppure spesi i soldi stanziati dal governo per la ristrutturazione delle scuole. Si governa solo con una sorta di bulimia dei Grandi Eventi».

Anche per questo, la prospettiva di risparmiarsi un secondo mandato per migrare a Roma lo affascina. Così Sala ha iniziato a rinsaldare i rapporti con la sinistra milanese, dall'assessore Majorino ai salotti chic dei Boeri o della galassia Corriere della Sera. Dove ha buone entrature (a parte la nuova fidanzata, figlia del banchiere Bazoli), come dimostrano i servizi con cui il quotidiano di via Solferino ingigantiva il suo ruolo - puramente cerimoniale rispetto a quello di Renzi - durante la visita di Obama a Milano. E si è messo a fare continui dispetti (dalla diserzione del Lingotto all'equidistanza nelle primarie) a Renzi, sempre più furibondo con l'ingrato Sala cui - da premier - salvò la faccia, e non solo quella, su Expo. Per tutta risposta, il sindaco ha appena benedetto «Fondamenta», improbabile titolo del convegno milanese con cui Mdp, il partitino scissionista di Bersani e D'Alema, ha chiamato a raccolta quest'ultimo weekend tutti i nemici giurati di Renzi e del suo Pd: da Carlo Smuraglia (Anpi) a Massimo Giannini, da Susanna Camusso fino a Ferruccio de Bortoli.

E Beppe, l'aspirante Macron della Madonnina.

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