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Salario minimo, la Lega frena Gigino

Il leader M5s: «Presto legge». Durigon: «Sì solo se non penalizza le Pmi»

Salario minimo, la Lega frena Gigino

Il salario minimo presto sarà legge anche in Italia. Il vicepremier, Luigi Di Maio, ieri su Facebook ha annunciato l'ennesimo proclama sul ddl che introduce una retribuzione di base per tutti i contratti fissandola a 9 euro lordi l'ora. «Vi diranno tutti che non si può fare, semplicemente perché non lo vogliono fare, mentre in 22 Paesi europei già è legge da molti anni», ha sottolineato Di Maio puntando il dito contro «certi politicanti con il portafogli gonfio e stipendi da quasi 15mila euro al mese». Poi, il solito finale carico di climax. «Noi non ci arrendiamo e vi prometto che presto diventerà legge anche in Italia: se hai un lavoro, non puoi prendere meno di 9 euro lordi l'ora altrimenti non è lavoro, è schiavitù! È una battaglia di civiltà! Basta stipendi di 500-600 euro al mese».

La risposta del sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, ha di molto ridimensionato l'annuncio pentastellato. Il salario minimo, ha spiegato, «è necessario per creare lavoro dignitoso, ma bisogna anche dare sostegno alle piccole e medie imprese, che ad oggi si ritrovano con costo del lavoro altissimo e rischierebbero degli stati di crisi per un ulteriore aumento del salario». Insomma, la Lega è pronta ad affrontare ancora il dossier ma «a costi perlomeno invariati per le Pmi».

L'intesa tra i due azionisti del governo, che due settimane fa pareva quasi raggiunta, è ancora di là da venire. Durigon ha infatti sottolineato che «fissare dei limiti di paga di inserimento al lavoro è necessario quanto legiferare sulla rappresentanza sindacale e datoriale che permetterebbe di mettere fine, una volta per tutte, al dumping contrattuale». Il salario minimo, in tal modo, avrebbe una portata molto ridotta e servirebbe solo a escludere dai tavoli contrattuali quelle «microsigle» che molto spesso firmano intese al ribasso con le associazioni delle imprese. La nuova legge, in tal caso, diventerebbe solo un mezzo per riconoscere la rappresentatività dei sindacati maggiori e rafforzerebbe i contratti nazionali che, nella maggior parte dei casi, superano già il valore soglia indicato da Di Maio. La Lega, in buona sostanza, sta appoggiando Cgil, Cisl, Uil e Ugl che proprio il vicepremier Cinque stelle ha attaccato per essersi seduti al tavolo con Salvini lunedì scorso. Inoltre, l'accordo con M5s sull'inserimento di tredicesima, Tfr e altre tutele contrattuali nel computo dei 9 euro di base non è stato mai raggiunto.

A che punto è il ddl? Teoricamente dovrebbe andare in Aula a Palazzo Madama domani ma l'esame in commissione Lavoro non è terminato e la commissione Bilancio, attualmente alle prese con il ddl Assestamento, non ha ancora fornito il proprio parere. Il rinvio all'autunno, quando la manovra assorbirà tutto il tempo dei parlamentari, si fa sempre più probabile. La melina è comprensibile: il partito di Salvini non vuol mettere la faccia su un provvedimento il cui impatto è stimato tra i 4 e i 10 miliardi di euro di maggior costo del lavoro per le imprese.

Un dato che preoccupa anche la Pa per l'incremento dei costi delle forniture.

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