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Salario minimo, scuola, sanità e grandi opere: governo diviso su tutto

Il 2020 della maggioranza si apre all'insegna degli stessi problemi del 2019: prescrizione, legge elettorale, quota 100 e reddito di cittadinanza, caso Gregoretti. Ma ora l'agenda si arricchisce di nuovi temi. E ogni partito va per conto suo

Salario minimo, scuola, sanità e grandi opere: governo diviso su tutto

Fare il punto della situazione, smussare gli angoli, trovare una quadra e rilanciare l'agenda di governo. Il piano per il 2020 del premier Giuseppe Conte è a dir poco ambizioso. Soprattutto per l'aria di scontro perenne che si respira dentro la maggioranza. Aria che, fin dall'inizio del governo giallorosso, si taglia con il coltello.

Non bastano gli apprezzamenti condivisi sul discorso di fine anno del Capo dello Stato per rasserenare gli animi. Ora il governo è atteso da un mese decisivo. Dalla riunione sulla prescrizione del 7 gennaio alle Regionali in Emilia-Romagna e Calabria del 26, basta il no di un partito della maggioranza per far saltare tutto.

Diverse le tematiche all'esame della maggioranza (leggi qui per approfondire): legge elettorale, referendum, decreto Milleproroghe, decreti Salvini sulla sicurezza, Alitalia e voto della Giunta delle Immunità del Senato sul caso Gregoretti. Senza dimenticare la polemica ancora in essere su quota 100 e reddito di cittadinanza, due provvedimenti ereditati dal Conte I su cui il Movimento 5 Stelle non ammette ripensamenti, malgrado le stoccate quotidiane di Italia Viva. Finora, un compromesso è sempre stato trovato.

Sarà sempre possibile? Non è detto. Specialmente ora che i quattro azionisti di maggioranza del governo sono pronti a puntare le loro fiches su nuove proposte destinate, inevitabilmente, ad accendere gli animi in Cdm.

I più attivi sono i 5 Stelle. Galvanizzati dal successo sul blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado - entrata in vigore nel nuovo anno - e rinfrancati dalla conferma nella manovra di quota 100 e soprattutto rdc, adesso Di Maio e soci sono pronti a dare battaglia sul salario minimo. La proposta, come ricorda Repubblica, è contenuta nel ddl Catalfo, dal nome dell'omonimo ministro del Lavoro che ne aveva avviato l'iter in commissione quando non era ancora al governo. Il ddl grillino fa perno proprio sull'introduzione del salario minimo, oltre alle norme per passare alla fase 2 del rdc: aiutarne i percettori a trovare un posto di lavoro.

Poi c'è il Pd. Il segretario Zingaretti spinge per aumentare gli investimenti nella scuola. Ancora lontana l'idea di una riforma complessiva del sistema scolastico, più probabile la proposta di alcune misure concrete a partire dall'adeguamento dello stipendio degli insegnanti, zoccolo duro dell'elettorato di sinistra. Senza contare che ill Pd spinge per allungare l'obbligo scolastico fino ai 18 anni e prolungare l'apertura degli istituti scolastici fino alle 18. Idea che, per essere messa in pratica, andrebbe condivisa con i sindaci.

Quindi Italia Viva. I renziani, decisamente i più "nervosi" della maggioranza, spingono da tempo per un maxi-investimento per le grandi opere da 120 miliardi di euro. Risorse da destinare alla realizzazione di nuove infrastrutture, viarie e ferroviarie, oltre che alla riqualificazione dell'esistente mediante una lotta efficace al dissesto idrogeologico. Per accelerare procedure e partenza dei lavori, Iv chiede di adottare il modello Expo Milano, basato sull'affidamento diretto grazie alla nomina di commissari straordinari.

Infine Leu. Il partito rappresentato in Cdm dal solo Roberto Speranza punta proprio sulla sanità per influire sull'agenda di governo. Dopo l'abolizione del superticket, ottenuta con l'ultima manovra, il partito della sinistra radicale vuole convincere l'esecutivo sulla necessità di stanziare nuove risorse per il sistema sanitario nazionale.

Anche se la vera ambizione di Leu è un'altra: abolire il Jobs Act, legge simbolo del governo Renzi che nel 2015 abolì l'articolo 18 introducendo il contratto indeterminato a tutele crescenti. Prospettiva che troverebbe d'accordo M5s e - forse - Pd, non certo Italia Viva.

Pronta, come da tradizione, ad affilare l'arma del ricatto.

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