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Salvini insiste con il preincarico e scarica Berlusconi sul Pd

Il leader leghista continua a cercare l'intesa con il M5s e chiude le porte a possibili maggioranze con i dem

Salvini insiste con il preincarico e scarica Berlusconi sul Pd

I selfie. Le strette di mano. Le incursioni negli stand. Ma ogni minuto l'occhio cade su quel maledetto telefono che porta tempesta. Alle undici, appena sbarcato al Salone del mobile, Matteo Salvini chiama il presidente del Senato Casellati: «Elisabetta, mi ostino ad andare avanti. Sto sondando Di Maio...», ma si capisce subito che la giornata è tutta in salita. Ad ogni padiglione della sua via crucis Matteo manda un messaggio a Luigi Di Maio che ormai sente più della Isoardi. E continuamente scruta lo schermo che prima dell'ora di pranzo gli rovescia addosso il temporale: le pesantissime dichiarazioni di Berlusconi contro i pentastellati. Salvini resta esterrefatto, ma si sforza di proseguire il tour e di lanciare messaggi promozionali, meglio del mitico Aiazzone: «Qui siamo nel cuore dell'eccellenza italiana, dobbiamo fare di tutto per aiutare questo settore. Dobbiamo snellire la burocrazia, abbassare le tasse, favorire l'export di un mondo che è parte dell'orgoglio nazionale. Insomma, dobbiamo dare un governo all'Italia».

Ma il balletto va avanti, Casellati si ritira, insulti e veti scompongono in un batter di ciglia possibili intese. E allora, proseguendo la sua chilometrica galoppata, il leader della Lega manda due messaggi, senza avvolgerli in formule diplomatiche. Il primo è per Mattarella: «Faccio tre passi avanti». Salvini è pronto, anzi reclama l'investitura. C'è il rischio molto alto di bruciarsi? Pazienza. Peggio, molto peggio rimanere incartati nella ragnatela vischiosa dei preamboli, dei pregiudizi, dei fregi barocchi della politica. Meglio far vedere a tutta Italia che lui ci ha provato, vada come deve andare. Ed è estraneo al teatrino di chi la vuol tirare in lungo. Anzi, quasi ignora il galateo istituzionale: l'autocandidatura sembra quasi un ordine impartito al presidente della Repubblica.

Il problema è come mettere insieme i pezzi. La bussola salviniana indica sempre la stessa direzione: Di Maio e i grillini. Sullo sfondo l'ipotesi più remota: Salvini al Colle a reclamare l'incarico, con la promessa di trovare i soli voti grillini tradendo il centrodestra. Il punto è che i pentastellati e il Cavaliere si azzannano di continuo e disfano la tela. Di Maio al telefono ha spiegato a Salvini che la Casellati ha cambiato le carte in tavola e ha fatto saltare l'intesa, ormai a un passo. «Sono in tanti - sibila Matteo - quelli che si mettono di traverso perché vogliono un governo tecnico alla Monti, telecomandato da Bruxelles, per spennare gli italiani».

Ma il nodo della giornata resta il rapporto sempre più sfilacciato con il Cavaliere che vorrebbe riaprire le danze con il Pd di Matteo Renzi. E allora, Salvini, pur senza perdere sorriso e aplomb, gli manda una sorta di ultimatum: «Se Berlusconi vuole portare il Pd al governo, lo faccia senza la Lega». E poi, sempre più duro: «Anche nel centrodestra c'è chi prova a distruggere, io sono qui per costruire».

La coalizione sbanda e scricchiola pericolosamente. La rottura sembra a un passo. Ma Salvini non si scoraggia. «Sono ottimista, inguaribilmente ottimista». La strada è tracciata. E lui intende percorrerla in fretta. Cosi rimanda un doppio ammonimento: «I veti e gli ammiccamenti al Pd sia da parte di Di Maio che di Berlusconi non rispettano il voto degli italiani. Io aspetto rispettosamente la scelta del presidente Mattarella, ma dopo, davanti a questi veti e ammiccamenti, mi sentirò libero di mettermi a disposizione direttamente».

Qualcuno, fra i suoi consiglieri, sostiene che il Quirinale non arda dalla voglia di affidare l'incarico proprio a lui che scombina gli schemi della politica internazionale, ma Salvini alza la mano, come ad attirare lo sguardo del capo dello Stato. Basta, bisogna uscire dal pantano. «Destra e sinistra - ripete mostrando insospettabili affinità con i grillini - sono categorie superate». Quindi, «non staremo a guardare ma prenderemo in mano la situazione».

Una promessa e insieme una minaccia.

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