Politica

Sanità, pronti i tagli choc. Oggi il voto sul decreto ma i numeri sono a rischio

Troppe assenze in Senato: slitta la riduzione di spesa per 2,3 miliardi. Regioni del Nord sulle barricate. L'Fmi ci stronca: "Ripresa in 20 anni"

Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin

Il governo Renzi cerca di far quadrare i conti delle promesse elettoralistiche del premier mediante i tagli alla sanità. Ci sono, però, due intoppi. Da una parte la proposta dei tecnici della Commissione Ue di introdurre una sorta di «eurotassa» per finanziare il bilancio comunitario. E, dall'altra, la sentenza del Fondo monetario internazionale secondo cui occorreranno venti anni perché l'Italia ritorni alla situazione occupazionale pre-crisi.

Il vero problema, però, è come recuperare quei dieci benedetti miliardi di risparmi nel settore sanitario cui accennava il superconsigliere Gutgeld. Il primo improbo compito è stato affidato al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che dovrà emanare un decreto attuativo del Dl enti locali. Con il taglio di 2,3 miliardi per le cosiddette «prestazioni improprie» (esami e visite specialistiche non necessarie, ndr ) si dovrebbe arrivare da subito a circa un quarto dell'obiettivo prefissato. Solo che ieri è mancato il numero legale a Palazzo Madama e, quindi, l'ok al decreto slitta a oggi.

Segnale che non solo l'opposizione, ma anche la maggioranza è contraria alla manovra. Dalle Regioni del Nord, inoltre, stanno giungendo risposte negative a qualsiasi ipotesi di riduzione delle dotazioni. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha minacciato le «barricate». Secondo il governatore leghista, «se Renzi non vuole uccidere le realtà virtuose come il Veneto, applichi esclusivamente e rigorosamente i costi standard», ha sottolineato precisando che qualsiasi altro mezzo sarebbe «semplicemente scandaloso». Effettivamente le ultime rilevazioni della Fondazione Gimbe hanno messo in evidenza che su 111,4 miliardi di dotazione del Fondo sanitario nazionale, il 23% (25 miliardi) è andato sprecato tra «prestazioni improprie» (7,7 miliardi), frodi e abusi (5,1 miliardi) e acquisti a costi eccessivi (4 miliardi).

In teoria i margini per una razionalizzazione della spesa ci sarebbero, ma come ha obiettato Zaia, in quel modo si penalizzerebbero le Regioni virtuose del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia) che «farebbero fatica ad erogare i livelli essenziali di assistenza». A fronte di un taglio su investimenti, personale e convenzioni (su cui ricadrebbero gli altri 7,7 miliardi di tagli), non sarebbero inoltre più giustificabili aliquote Irpef ed Irap come quelle attuali.

Se per garantire i 5,4 miliardi necessari per tagliare Imu e Tasi sulla prima casa, l'Imu agricola e quella sugli «imbullonati», Renzi si gioca la popolarità a livello locale, il sentiero per recuperare sarà difficile. Soprattutto se poi l'Europa dovesse chiedere ai singoli Stati nuovi sacrifici come una tassa ad hoc per sostenere il bilancio comunitario. La proposta all'esame di una commissione guidata da Mario Monti servirebbe a ripartire equamente gli sforzi senza ricorrere, di volta in volta, a interventi straordinari. Anche il presidente francese Hollande sarebbe favorevole, ma è chiaro che, nonostante le recenti frenate, questa misura servirebbe a Berlino come uno sgravio di responsabilità in casi analoghi a quello greco. Ecco perché il capogruppo alla Camera Renato Brunetta ha chiesto a Renzi di schierarsi: «O con Hollande o con Merkel-Schäuble-Monti».

Ultima ma non meno importante la pagella dell'Fmi che ha sancito l'inefficacia del Jobs Act se non corroborato da riforme come quella della Pubblica amministrazione e della Giustizia civile.

L'orizzonte del 2035 per recuperare gli oltre 930mila posti di lavoro persi dal 2008, come ha ricordato la Cgia, suona però come una bocciatura.

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