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Santanchè all'attacco in Aula. "Campagna d'odio su di me"

La ministra contro le fughe di notizie. Solo in serata apprende di essere indagata. Sfiducia del M5S, Schlein: "La voteremo"

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Daniela Santanchè, da giorni nel mirino di inchieste giornalistiche per la gestione delle sue società e dei loro debiti, si presenta in Senato per difendersi. E sceglie di partire in attacco, negando tutto e su tutta la linea: quella in atto è «una campagna di vero e proprio odio nei miei confronti», esordisce.

E la goccia che dovrebbe far traboccare il vaso è arrivata proprio ieri mattina, quando «un giornale ha annunciato che sarei indagata se-gre-ta-men-te dalla Procura di Milano». Una «imboscata» per «colpire proditoriamente un ministro di questo governo», visto che - assicura - a lei e ai suoi avvocati non risulta alcunché: «È una sporca schifosa trappola». E invoca: «Vi chiedo accoratamente di reagire a questa pratica che potrebbe colpire chiunque». A sera, però, la Procura fa sapere tramite agenzie che l'iscrizione nel registro degli indagati c'è, da novembre.

Per l'occasione, la titolare del Turismo ha scelto un abbigliamento assai sobrio (stanca dei gossip «su come mi vesto»): giacca avana, camicia e jeans bianchi. Attorno a lei sul banco del governo, in assenza della premier, fanno cordone numerosi ministri, chiamati a raccolta per dimostrare solidarietà. Ci sono i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, e poi Piantedosi, Ciriani, Bernini, Casellati, Musumeci etc. Presenti ma defilati anche il ministro dell'Economia Giorgetti e quello degli Affari regionali Calderoli, che preferiscono i banchi dell'emiciclo. Santanchè rivendica: «Faccio impresa da quando avevo 25 anni, ho scritto pagine di successo e sono fiera di aver dato lavoro a tanti». Anzi: «Mi sarei aspettata un plauso per aver impegnato il mio patrimonio personale per saldare i debiti e salvare le aziende». Le accuse a lei rivolte da ex soci, ex dipendenti o media sono tutte infondate, spiega. E avverte, senza far nomi: «Le critiche più feroci mi arrivano da mondi che poi, in privato, hanno tutt'altro atteggiamento perchè gli fa piacere prenotare nei miei locali». E le multe non pagate per la Maserati aziendale che avrebbe in uso? Le hanno prese i Carabinieri, assicura, cui lei aveva «dato l'auto in comodato gratuito».

La maggioranza fa quadrato e la difende, mentre Pd e Iv hanno buon gioco a ricordare che tanti altri ministri di governi passati si sono dimessi per questioni assai minori: da Josefa Idem (solo per il sospetto di una minima inesattezza nel pagamento dell'Imu) a Maurizio Lupi (sospetti, poi rivelatisi del tutto infondati, su orologi «regalati»)a Federica Guidi (nessun barlume di reato, solo intercettazioni del tutto private buttate in pasto al pubblico). E tutti si dimisero tra pressanti richieste dei partiti di centrodestra e della stessa Santanchè. Il leghista Romeo, insolitamente garantista, si accora: «Basta usare queste vicende per delegittimarci a vicenda», come quando Salvini «è stato rinviato a giudizio per aver difeso i propri confini». Ma se per ora la maggioranza si blinda attorno a Santanchè, il centrosinistra riesce a dividersi: i 5S (col consueto coretto in aula: «dimissioni-dimissioni») annunciano di aver presentato una mozione di sfiducia al ministro (che ovviamente non avrà mai i numeri per passare), contro il parere degli altri gruppi di opposizione, che non vorrebbero fornire alla maggioranza l'occasione per ricompattarsi, facendo della ministra una martire politica. «Si tratta di un oggettivo favore al ministro e al governo Meloni», accusa Francesco Boccia, capogruppo del Pd che invece preferirebbe incalzare il governo e i ministri competenti sui singoli capitoli del feuilleton. «Del resto, quando può, Conte dà sempre una mano a Meloni. E viene ricambiato: basta vedere i posti dei grillini in Rai», insinua un senatore dem. Ma al Pd tocca ingoiare l'esca dei 5S: «Voteremo la mozione di sfiducia», è costretta a precisare Elly Schlein. In compenso, si divide anche il Terzo Polo: Calenda vorrebbe chiedere le dimissioni, Renzi lo accusa di grillismo.

«Non vogliamo usare lo stesso vostro metodo giustizialista», dice il renziano Borghi al centrodestra.

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