Cronache

"Sarà segnata dal trauma. Così le strappano l'identità"

La psicologa: atto gravissimo impensabile in Italia

"Sarà segnata dal trauma. Così le strappano l'identità"

Cosa succede se a una bambina di cinque anni viene strappata la catenina con la croce da una mamma affidataria musulmana che le parla in arabo mentre nasconde il viso dietro ad un velo? «Ovviamente rimane traumatizzata. Se la difficoltà non viene affrontata subito dai servizi sociali, il disagio può esprimersi in adolescenza con atteggiamenti di chiusura, ansia, irrequietezza o all'opposto, aggressività. E senza un percorso psicoterapeutico la bimba può diventare un'adulta ansiosa, preoccupata, insicura o aggressiva, perché il problema centrale sarà la sensazione di non valere o essere inadeguata o sbagliata». Patrizia Baroncini, psicologa, psicoterapeuta ed esperta in traumi infantili, analizza la storia della bimba londinese con molta cautela. «Ma io dubito che la realtà di questa bambina sia come la rappresenta la stampa. Sembra più un atto discriminatorio nei confronti della famiglia affidataria».

Quindi le sembra una storia inverosimile?

«Almeno per gli standard italiani dove i servizi sociali sono sempre dalla parte dei minori: vanno periodicamente a controllare l'ambiente in cui vivono, come sono trattati. Se la famiglia affidataria si comporta in modo da arrecare danno al minore, si interviene immediatamente».

Ipotizziamo che sia tutto vero quello denunciato dal Times. Cosa significa strappare la catenina dal collo per quella bambina?

«È un atto gravissimo perché le viene sottratto un riferimento affettivo importante che lei porta con sé e che rappresenta una parte della sua identità. È come se le avessero strappato dalle mani l'orsetto o un altro oggetto del cuore inseparabile. Non dimentichiamo che dagli 0 ai 9 anni si forma l'identità di un bambino e la sua autostima. E i riferimenti affettivi svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di sé, che siano oggetti, luoghi o persone».

E la lingua araba? O il velo delle mamma affidataria?

«Si tratta di dettagli secondari per una bambina. Quello che conta è quante volte quella donna con il velo la abbraccia e le trasmette protezione e sicurezza. Se la valorizza in ciò che fa e in ciò che è. Che in casa le insegnino l'arabo, oltre che l'inglese, non è importante anzi è un arricchimento personale nella sua storia. Ciò che è fondamentale è il contatto fisico, emotivo e psicologico».

E le critiche contro le donne occidentali?

«Tutte le mamme e i papà della terra hanno delle opinioni personali su sé e sugli altri. Fra qualche anno il senso critico della bambina aiuterà a integrare i pensieri e giudizi degli adulti. L'importante è che non sia costretta ad avere gli stessi identici pensieri e giudizi. E non è grave neppure se non le viene offerto il maiale a tavola. Il problema centrale è quello di sentirsi accettato, non quello che mangia. Ma se la catenina o le sue usanze personali non sono accolte lei vive un trauma».

Ha senso affidare una bimba con estrazioni cristiane a una famiglia musulmana?

«Non ci sono preclusioni. Negli Usa ci sono coppie gay e single che sono splendidi genitori affidatari.

Non è il tipo di famiglia che va giudicato ma l'atteggiamento della famiglia nei confronti del minore».

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