Cronache

Sbagliando si impara (anche dagli altri)

Sbagliando si impara (anche dagli altri)

D' accordo, c'è sempre da imparare anche osservando gli errori degli altri. Ma quegli errori devono essere oggettivi, non il frutto di interpretazioni, con tutte le variabili del caso. Quindi, se invece di venire suonato un do si suona un mi, è un errore fuori discussione che, riconosciuto, consente di apprendere i modi per evitare di incorrere nel futuro nello stesso sbaglio.

Ma non sono molti gli errori fuori discussione. Il più delle volte gli sbagli personali, proprio come quelli degli altri, hanno una variabilità interpretativa non facile da definire.

Quali sono i luoghi essenziali dell'apprendimento, dove sbagli personali e quelli di altri diventano importanti per capire quale sia la giusta prospettiva da seguire? Sono due: famiglia e scuola.

In famiglia, la prima forma di educazione è l'esempio. Se un musicista non può pretendere d'insegnare, continuando a fare indecorose stecche con il suo strumento, perché da quegli errori non s'impara niente, così un padre deve stare attento a quello che dice e fa. Come si sa, predicare bene e razzolare male è un'attività molto consueta, con la conseguenza che chi riceve la predica non impara niente. Da parte di chi ha il dovere d'insegnare, come è il caso di un genitore, riconoscere un errore è alla base di un rapporto fiduciario con il figlio. La prima regola di chi deve insegnare qualcosa a qualcuno, è saper coordinare la comunicazione con il comportamento. Se si realizza questa virtuosa relazione, è possibile anche segnalare gli errori altrui e pretendere di criticarli. Diversamente, si entra in un'ambiziosa spirale di falsi insegnamenti.

Nell'altra istituzione formativa, la scuola, s'innesta un'ulteriore difficoltà. L'insegnante non può essere un cartello stradale che indica la strada senza percorrerla. Deve mettere in gioco se stesso mantenendo una neutralità di visione di cui un padre non ha necessità, avendo il sacrosanto diritto di educare il figlio secondo i propri principi. L'insegnante, invece, deve saper indicare l'errore, senza pretendere di correggerlo secondo la propria personale visione del problema. Facile, quindi, che quello che per lui può apparire uno sbaglio da correggere per un altro non lo sia. A meno che non si rientri nella sfera degli errori obbiettivi (un errore di grammatica), dove è facile illustrare lo sbaglio.

A complicare la vita dell'insegnante e, in parte, del genitore se il figlio è già un ragazzo, è l'ampiezza delle stimolazioni formative che arrivano dalle nuove tecnologie. Qui la competizione tra la figura tradizionale dell'educatore e i nuovi supporti elettronici è gigantesca. Ci vuole una dose di umiltà prima quasi inutile: il padre non può essere padrone della verità, così come l'insegnante deve costantemente mettere alla prova le sue conoscenze. E, come se non bastasse questo a complicargli la vita, il mondo della comunicazione informatica è, talvolta, anche contraddittorio al suo interno.

Insomma, si scopre l'acqua calda: c'è sempre, e da tutti, qualcosa da imparare.

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