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Scafisti, i militari frenano: "L'Italia non ha droni armati"

I nostri dodici velivoli sono utili solo per fare ricognizione. Fonti militari: "Impossibile armarli prima di un anno"

Scafisti, i militari frenano: "L'Italia non ha droni armati"

L'ipotesi di usare i droni per affondare i barconi degli scafisti prima che partano non è praticabile. Almeno non nell'immediato. Come spiega il Corriere della Sera, l'Italia non ha, infatti, la tecnologia necessaria per armare i sei Predator B delle Forze armate. Anche nel caso in cui gli Stati Uniti ci fornissero il know-how, fonti militari fanno sapere che "occorrerebbero da sei mesi a un anno per applicarlo e avere un embrione di capacità operativa".

Mentre l'Unione europea discute sull'ipotesi di fermare gli scafisti affondando le navi prima che prendano il largo, l'Italia si dimostra indulgente addirittura con quelli che arrivano a destinazione. Ad oggi, infatti, i barconi degli scafisti vengono restituiti. Stando ai dati forniti dal dicastero della Difesa, nel 2014 i trafficanti di uomini sarebbero rientrati in possesso di oltre 800 natanti. Grosse scialuppe, gommoni e pescherecci che anziché essere affondate vengono "gentilmente" restituiti. Tanto che i militari fanno presente che un primo passo avanti sarebbe sequestare e abbattere quelli che arrivano a destinazione. "È difficile immaginare bombardamenti aerei, sia per la difficoltà di identificare gli obiettivi, sia per il rischio che i migranti possano essere usati come scudi umani - spiegano fonti militari al Corriere - tantomeno è realistico pensare a operazioni a terra direttamente nei porti, dove avremmo comunque bisogno della collaborazione di autorità locali, che o non ci sono o sono in conflitto fra loro".

L'Italia è in possesso di dodici droni: sei Predator di prima generazione e sei Reaper acquistati tra il 2009 e il 2011. Vengono tutti usati per sorveglianza e ricognizione. Nel 2011 sono state avviato le procedure per avere dagli Stati Uniti la tecnologia per armare i Reaper. Lo stallo alla Commissione del Senato americano e i costi elevati hanno convinto il governo italiano a non sollecitare la pratica. Adesso, però, Palazzo Chigi sta pensando di premere il piede sull'acceleratore.

"Avremmo comunque davanti un lavoro lungo e complesso, dall’addestramento tecnico alle prove sperimentali - spiegano fonti militari al Corriere - non potremmo impiegarli in modo efficace prima di un anno".

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