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Lo scandalo partecipate: in 1.800 c'è un cda ma neppure un impiegato

Dal prosciuttificio regoinale all'agenzia di viaggio comunale: 2.600 società partecipate dallo Stato hanno più poltrone che addetti

Lo scandalo partecipate: in 1.800 c'è un cda ma neppure un impiegato

«Una giungla». Non ha trovato termine più calzante di questo l'ex commissario per la spending review Carlo Cottarelli, già rispedito a Washington con tanti saluti e grazie, dopo essersi addentrato nel magico mondo delle partecipate degli enti locali italiani. Un settore da record: in Francia, per dire, ce ne sono un migliaio, e in Italia? La stima più accurata - perché una cifra precisa neppure si sa, sennò che giungla sarebbe - parla di 10mila, «ma forse di più» aggiunge Cottarelli. Una giungla, appunto, di società partecipate dagli enti locali (Comuni, Province, Regioni) che ingoia ogni anno oltre 26 miliardi di euro tra trasferimenti statali e locali. Dentro c'è di tutto. Società di servizi classici (acqua, gas, elettricità, trasporti, rifiuti), ma anche molto altro. Centocinquanta agenzie di viaggio, aziende che producono formaggio, vino, fiori, zucchero, ma pure surgelati e prosciutto.

È proprio indispensabile un'agenzia di viaggio comunale, un prosciuttificio regionale, con il loro bel consiglio di amministrazione, dirigenti, presidenti, collegi sindacali? Perché, al dossier di Cottarelli, si aggiungono gli ultimi dati raccolti dal Cerved. Da cui emerge un'altra definizione plausibile, dopo «giungla», per questa galassia di aziende pubbliche: «poltronifici». Come altro chiamare le ben 2.671 società con più amministratori che dipendenti? Per un totale di 14.871 cariche. Aziende, insomma, dove i direttori non sanno chi dirigere, perché sono più loro che gli addetti che dovrebbero eseguire le direttive. Un assurdo? Che dire allora delle 1.846 aziende pubbliche in cui non è impiegato neppure un solo dipendente? C'è il cda, ma non gli impiegati. Scatole vuote, utili per distribuire cariche (e stipendi) e mantenere i propri consigli di amministrazione. Tra quelle 1.846 società partecipate dagli enti locali più della metà (993) è in perdita, altre 240 hanno utili pari a zero.

Almeno 3mila partecipate ha meno di sei dipendenti, e almeno 1.300 hanno un fatturato inferiore a 100mila. Cosa vuol dire? «Si tratta quindi di piccole società con il sospetto che molte siano state create principalmente per dare posizioni di favore a qualche amministratore o dipendente» si legge nel dossier «Programma di razionalizzazione delle partecipate locali» realizzato dall'ex commissario antisprechi Cottarelli. Delle 220 aziende pubbliche che si occupano di «comunicazione», solo 11 fatturano più di 10mila euro, e una sessantina di loro non ha dipendenti, solo amministratori. Ma per «comunicare» cosa? Si tratta perlopiù di enti di promozione e sviluppo del territorio. Compiti che potrebbe svolgere qualche ufficio comunale, senza costituire una nuova società con nuove poltrone. Anche perché il risultato è spesso zero, o sottozero. Qualche esempio ricavati dalla documentazione raccolta in Parlamento per una proposta di riordino della «giungla». La Provincia di Reggio Emilia, insieme a una serie di comuni reggiani, possiede la Matilde di Canossa Srl. Compito? La promozione turistica ed economica dei «territori matildici» dell'Emilia Romagna. L'amministratore riceve un emolumento di 10.400 euro, ma la società perde: 415.752 euro di rosso nel 2012, 81.379 nel 2013.

Nel 2012 le partecipate hanno bruciato 1,2 miliardi di euro, il totale delle perdite, accumulate soprattutto nelle società di trasporto pubblico, con in cima quella del Comune di Roma, l'Atac (219 milioni di buco nel 2013). Ma la cifra complessiva del rosso è molto inferiore alla realtà. Il perché lo spiega ancora Cottarelli: «Le perdite evidenziate in bilancio peraltro non raccontano tutto: in molti casi ad esempio non appaiano soltanto perché l'attività dell'ente è finanziata con un contratto di servizio troppo generoso, i cui costi gravano sui cittadini, oppure perché le inefficienze vengono scaricate sugli utenti attraverso tariffe più elevate di quanto sarebbe necessario se queste società fossero ben gestite».

Anche il Cerved segnala l'anomalia italiana delle partecipate che fanno di tutto e di più. «I Comuni italiani non si limitano a entrare nel capitale di società attive nella fornitura di tipici servizi pubblici locali, quali energia, acqua, smaltimento dei rifiuti, trasporto pubblico, istruzione e sanità: esiste infatti una presenza rilevante di partecipate attive nel campo della consulenza, della fornitura di servizi di altra natura (dal software, alla ricerca e sviluppo, ai servizi turistici), di attività diverse (dalla manifattura all'allevamento)».

Il bello - si fa per dire - è che la maggior parte dei «poltronifici» pubblici dovrebbe essere chiuso. Ma proprio per legge, quella di Stabilità del 2013, in base a cui quasi 1.500 società andavano messe subito in liquidazione. L'ha fatto solo un Comune su cinque.

Una giungla è più ordinata.

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