Cronache

Scappò dal Cara di Mineo e trucidò i coniugi Solano: sentenza "solo" dopo tre anni

I tempi de processo sono indecenti. Indennizzo ridicolo: alla famiglia solo 7.500 euro

Scappò dal Cara di Mineo e trucidò i coniugi Solano: sentenza "solo" dopo tre anni

Andrà a sentenza definitiva martedì 15 gennaio il processo contro Mamadou Kamara, l'ivoriano che il 30 agosto 2015 massacrò, a Palagonia, in Sicilia, i due coniugi Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez.

L'uomo, che all'epoca dei fatti aveva 18 anni, uscì dal Cara di Mineo, dove era ospite da tempo e raggiunse nella nottata la villetta isolata dove prima tagliò la gola all'anziano, per poi finirlo a colpi di sgabello, per poi accanirsi contro la donna, violentandola, picchiandola senza aver pietà e, infine, gettandola agonizzante dal terrazzo. Un delitto efferato, per cui l'accusa ha chiesto l'ergastolo, vista l'atrocità con cui fu compiuto. Peraltro, con una motivazione assurda: l'immigrato rubò pochi oggetti dalla villetta, recuperati grazie a una militare di turno al Cara, che si insospettì vedendo che l'ivoriano aveva con sé un sacco. Al cui interno fu recuperato il cellulare di Vincenzo. Fu la polizia, su indicazione di Rosita Solano, chiamata da quel numero, a trovare i due corpi. Ciò che si mostrò davanti a loro fu una scena da film dell'orrore, tanto era il sangue sparso ovunque.

Martedì al tribunale di Catania saranno presenti le figlie dei coniugi Solano, Rosita e Manuela, coi rispettivi mariti. Ma con loro ci sarà anche la presidente dell'Unione nazionale vittime, Paola Radaelli (nella foto), che da tempo si occupa del caso.

«Già lo scorso 30 agosto - ricorda la presidente di Unavi - eravamo stati a Palagonia per inaugurare una piazza intitolata ai Solano. Con noi c'era il sottosegretario agli Interni, Nicola Molteni. Lunedì partiremo per fare un presidio e per chiedere giustizia dopo tre anni di calvario per la famiglia delle vittime».

Ciò che chiede l'associazione è che «la sentenza sia esemplare. Ma anche - prosegue Radaelli - dire che la giustizia non può andare avanti così, ma c'è la necessità di accelerare i tempi di questi processi. Tre anni sono troppi, sia per una questione di attesa, sia perché si va a gravare sulla psiche di chi rimane e dovrà convivere con questo peso per tutto il resto della vita».

Peraltro, la villetta è ancora sottoposta a sequestro, ciononostante le figlie devono ancora pagare utenze e spese varie, senza poterci far rientro. «Ci stiamo battendo anche sulla questione del risarcimento - tiene a dire ancora la presidente Unavi -. Pensate che le sorelle Solano rischiano di avere appena 7.500 euro. Per un femminicidio, in Italia, 4.500 euro. È semplicemente vergognoso. Ecco perché abbiamo consegnato una proposta di legge al sottosegretario Molteni e abbiamo lavorato per apportare modifiche all'ultima finanziaria di dicembre. Solo che poi non è stato inserito nulla».

E hanno anche lavorato sul fronte europeo, raccogliendo 25mila firme per chiedere che si possa rifare il decreto 80 del 2004, che ha recepito la legge 122, affinché sia fatto in modo corretto e possa andare incontro alle vittime, soprattutto in materia di risarcimenti, spesso non adeguati al danno subito. «Siamo in attesa di risposte - conclude Radaelli - e ci auguriamo possano arrivare in tempi brevi.

Non si può davvero far aspettare questa gente, è una questione di giustizia».

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