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Scatta la partita dei moderati. Fi rischia di sbagliare il rigore

La "destra più destra" Lega-Fdi non va per gli italiani: ci sono 9 milioni e mezzo di voti che vanno recuperati

Scatta la partita dei moderati. Fi rischia di sbagliare il rigore

Le potenzialità. Se strofinando la lampada di Aladino qualcuno, dotato di un minimo senso della politica, avesse dovuto esprimere tre desideri al Genio per rilanciare Forza Italia, avrebbe chiesto: una Lega radicalizzata a destra; un Pd radicalizzato a sinistra; il crollo dei 5stelle. Cioè, a ben guardare, le condizioni attuali. «Fino a sei mesi fa confida Renata Polverini non avevamo orizzonti futuri. Ora, invece, sì». «Solo dei folli alla Toti spiega Davide Bendinelli, coordinatore azzurro in Veneto immaginano che l'Italia possa essere governata da una maggioranza destra più destra, cioè dalla Lega più Fratelli d'Italia. Per vincere c'è bisogno di dare anche una rappresentanza moderata, liberale al centrodestra».

I limiti. Racconta il siciliano Francesco Scoma: «In Sicilia il capogruppo alla regione Milazzo minaccia se non viene candidato alle Europee di lasciare il partito. La stessa cosa fa il sindaco di Catania, Puglisi, se non viene candidato un suo uomo. Si può andare avanti così?». Elisabetta Gardini, invece, dalle minacce è passata alle vie di fatto: per via della candidatura alle Europee ha detto addio a Forza Italia, qualcuno la vede già con la Meloni, ma lei smentisce. Siamo al do ut des delle trattative infinite, degli organigrammi continui, degli addii polemici della Gardini o dei ritorni che suscitano polemiche della Mussolini o della Pivetti, delle alleanze segrete che si combinano e si scombinano. E, invece, tutti dovrebbero far fronte comune seguendo un motto seguito da sempre da tutti i partiti che vogliono avere un domani: primum vivere. Il tempo della competizione per avere i gradi nelle gerarchie viene dopo. «Purtroppo a parte Berlusconi osserva ancora Bendinelli c'è un gruppo dirigente che non ama il rischio, animato solo dall'autotutela, dall'autoconservazione che non ha il coraggio di mettersi in discussione».

I pericoli. Ci sono 9 milioni e mezzo di voti, che fluttuano in assenza di una rappresentanza tra astensione e flirt del momento, in quel mare magnum che va dalla destra più destra, cioè Salvini più Meloni, fino al Pd tinteggiato di rosso di Zingaretti. Se Forza Italia perderà il suo ruolo, c'è già chi punta a sostituirla. I grillini ci stanno già provando, stanno tentando di proporsi come la nuova democrazia cristiana, per usare le parole di Emilio Carelli, anche se con esiti caricaturali. Espongono sempre più un personaggio post-ideologico come Conte, nascondono sempre più il démodé Di Battista, tirano a lustro personaggi cari alla commedia italiana come Lino Banfi. Insomma, Di Maio sta tentando la metamorfosi moderata, anche se deve far fronte a limiti strutturali come la scarsa competenza, la confusione programmatica e quella zavorra che pesa contro un'operazione del genere che è l'ala movimentista. «C'è una grande prateria al centro confida il sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa e noi ci ficchiamo dentro». E intanto, sullo sfondo, si intravvedono le ombre di personaggi capaci cimentarsi in un'avventura sul modello berlusconiano, come Urbano Cairo o chi per lui.

È in questo scenario che Forza Italia giocherà la sua scommessa. L'obiettivo minimo è il 10% alle Europee o su di lì, perché con il 10% in un sistema elettorale per due terzi proporzionale, in Italia si possono fare grandi cose. Solo che per prendere voti oggi, bisogna anche costruirsi un domani. C'è già Berlusconi, l'icona, il leader in cui si riconosce, secondo la maga Ghisleri, il 97% degli elettori di Forza Italia, ora è il partito che deve mettere radici, ampliare la propria capacità di rappresentanza, dare il senso che oltre a Berlusconi c'è anche il berlusconismo. «Più o meno è il riferimento di Giorgio Mulè - come avvenne con De Gaulle e il gollismo. Questa è la sfida, mettere radici».

In fondo ci sono le coincidenze della Storia: Berlusconi è entrato in politica esattamente 50 anni dopo De Gaulle; è l'unico leader politico delle grandi democrazie occidentali che è arrivato al potere fondando un suo partito e non scalando un partito già esistente; e in fondo Arcore non ha nulla da invidiare a Colombey-les-Deux- Églises, la dimora del generale. Inoltre De Gaulle è durato 25 anni e il Cav proprio quest'anno ha superato il suo quarto di secolo in politica. Ora ci dovrebbe essere il salto di qualità, creare le condizioni per il domani, perché anche Forza Italia abbia i suoi Juppè, Chirac, Fillon, Balladur, Sarkozy. Una sfida che non riguarda tanto il Cav, che in 25 anni ha già dimostrato cosa sa fare, che ha vinto, è caduto ed è risorto tante volte, quanto il gruppo dirigente del partito che ancora deve dar prova di saper concorrere. «Uno può dire ciò che vuole spiega la Ghisleri ma ancora oggi chi porta voti, tanti o pochi, è solo Berlusconi». «È l'unico constata la deputata siciliana Gabriella Giammanco che continua ad avere davvero il quid».

Solo che per «concorrere», un gruppo dirigente deve mettersi alla prova, dimostrare quanto vale. Dovrebbe puntare sulla propria identità, sulle proposte, sui programmi: giudicare la politica della Lega e di Fratelli d'Italia senza timori reverenziali, più o meno come fanno Salvini e la Meloni con Forza Italia. Il «politicismo» esasperato, magari di quarta mano, non basta. Non è che l'alleanza con la Svp per uno 0,5%, ti cambia qualcosa. Come pure bussare alla porta delle sette Chiese non aiuta. Si rischia di ritrovarsi come Giovanni Toti che dopo aver flirtato con Salvini viene tacciato dal Populista, la rivista ideologica della Lega, come «un leader in pigiama» senza voti. E, in assenza di meglio, finisce nella conferenza programmatica della Meloni. «La verità è che tutti confida la Polverini hanno una sola preoccupazione: tutelarsi. Facendo i calcoli sui voti che ci sono, non su quelli che si debbono conquistare. Insomma, non rischiano. Per questo il partito è chiuso, respingente, non inclusivo».

Solo che chi non rischia, non si conquista un domani. «Bisogna immaginare un dopo Europee osserva Roberto Occhiuto contando sulle risorse che abbiamo. Puntando, chessò, sulla Carfagna al Sud insieme alla Gelmini al Nord. Altrimenti il primo che si alza all'indomani del voto e indica una strada, viene seguito alla rinfusa dagli altri. Come avvenne nel Pd con Renzi». Solo che dentro il Pd con c'era un De Gaulle. E non è detto che, magari molto presto, non sia Berlusconi a far sentire la sua voce, ad indicare un'altra volta la strada. Un altro predellino, magari con le sembianze di un assise, di un congresso.

Ma questa volta dentro Forza Italia.

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