Cronache

La scelta di Dino malato di Sla Farsi addormentare per morire

Aveva 71 anni e lottava dal 2012 contro la malattia Per togliersi la vita ha scelto una sedazione profonda

La scelta di Dino malato di Sla Farsi addormentare per morire

Avrebbe compiuto 71 anni il primo marzo, Dino Bettamin. Da cinque era malato di Sla e ha deciso di lasciarsi andare, morendo dolcemente. Semplicemente addormentandosi. Per sempre.

È il primo caso in Italia di «sedazione profonda», detta anche palliativa o terminale, che viene somministrata a un malato di Sla. Bettamin che faceva il macellaio di professione, era di Montebelluna, in provincia di Treviso, e lunedì pomeriggio è morto. Una sofferenza troppo forte, la sua, per una malattia comparsa nel 2012 e che lentamente l'aveva consumato. Due anni fa era arrivato a pesare 38 chili, poi si era ripreso raggiungendo i 62, ma la Sla non lascia scampo.

Una malattia neurodegenerativa che a poco a poco assorbe e mangia le parti del corpo. Quando le gambe e la schiena non hanno più retto, non si è perso d'animo e ha continuato a uscire con la moglie Maria, usando la carrozzina e il respiratore. «Mio marito era lucido, ha fatto la sua scelta ha detto la moglie e noi gli siamo stati accanto». Dal 2015 Dino Bettamin era seguito da Cura con Cura, una società privata che gli forniva assistenza domiciliare. Lui, dopo l'ennesima crisi respiratoria, aveva capito che gli restava poco tempo; soffriva, come dicono gli infermieri che lo seguivano, di uno stato di angoscia non più gestibile. Aveva chiesto di essere sedato e di dormire fino alla morte, per sempre. «Una chiara richiesta di sedazione basata su un chiaro sintomo refrattario hanno spiegato gli infermieri della società - dato da un'angoscia incoercibile anche con farmaci e trattamenti psicologici, nonostante tutta l'umanità e la professionalità con cui è stato assistito nelle varie fasi della patologia».

Dopo una prima sedazione palliativa quindi si è andati avanti con altre somministrazioni. La sera del 5 febbraio la guardia medica ha aumentato il dosaggio del sedativo che già Dino assumeva via flebo e il giorno dopo la dottoressa che lo seguiva a domicilio ha cominciato a somministrare gli altri farmaci del protocollo. «Non ha chiesto fa sapere al Corriere del Veneto l'infermiera che lo seguiva a casa di spegnere il respiratore nonostante la legge lo consenta nei casi di sedazione profonda; anzi, lo terrorizzava l'ipotesi di morire soffocato. Ha optato per una scelta in linea con la legge, la bioetica e la sua grande fede. Nonostante le gravi crisi respiratorie, ha vissuto con dignità fino al 6 gennaio, giorno della sua ultima cioccolata calda bevuta ad Asolo con i familiari. Poi ha concluso l'infermiera la stanchezza e la depressione l'hanno sopraffatto e ha iniziato a contrastare le macchine. Da lì la sua richiesta».

La sedazione profonda si ha nei casi in cui non c'è più niente da fare. Si sospendono le terapie e si cessa anche la nutrizione assistita, come in questo caso. Così lunedì quando la moglie lo ha rassicurato dicendogli che aveva fatto tutto quello che le aveva chiesto di fare, Dino si è addormentato. La figlia Agnese ha espresso questo desiderio: «Lasciateci nel nostro lutto per rispetto nei confronti di mia madre e della memoria di mio padre che non c'è più».

E proprio ieri in Commissione Affari sociali alla Camera era in corso una discussione sul trattamento di fine vita: il rapporto tra la volontà del paziente e i doveri del medico.

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