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In scena l'Orlando furioso Copione: resuscitare il Pd

Il Guardasigilli prova a tenere insieme i dem e strappa un rinvio del congresso. Renzi ha incontrato Bolloré

In scena l'Orlando furioso Copione: resuscitare il Pd

«Bisogna mettere al bando la parola scissione». All'indomani della Direzione Pd, che ha varato il serratissimo calendario per il congresso da Matteo Renzi, che nei giorni scorsi ha anche incontrato il patron di Vivendi Vincent Bolloré, a vestire i panni del mediatore è Andrea Orlando. Il Guardasigilli tenta di tenere dentro il Pd la minoranza imbizzarrita e prepara una propria candidatura «di sinistra» che faccia da contrappeso a quella dell'ex premier e recuperi i voti della parte bersaniana. In odio al segretario (e per il terrore di non essere garantiti nelle prossime liste elettorali) gli esponenti bersaniani minacciano per l'ennesima volta di andarsene. Al punto che stanno meditando di disertare in massa l'assemblea nazionale di domenica, convocata per dare il via al percorso congressuale con le dimissioni di Renzi, e di mandare solo un loro inviato (forse con passamontagna, alla subcomandante Marcos) a leggere una sorta di risoluzione strategica.

Un gesto dannunziano che prelude alla rottura. Per evitarla, Orlando (che lunedì ne ha parlato con Renzi) e Dario Franceschini hanno tentato di ottenere dal leader Pd un po' di tempo in più, un rallentamento del calendario, un «piccolo rinvio» come lo definisce un franceschiniano del congresso per «stemperare il clima» e «ricucire gli strappi». Uno slittamento alla prima metà di maggio, che avrebbe soprattutto un effetto: scavallare definitivamente la data limite di aprile, quella che consentirebbe di sciogliere le Camere in tempo utile per il voto a giugno. Un messaggio rassicurante per tutti coloro che, da Mattarella a Berlusconi, temono una crisi anticipata. In casa renziana c'è apprezzamento per il tentativo di mediazione, e in fondo anche l'eventuale scesa in campo del Guardasigilli come candidato al congresso: «La sua presenza garantirebbe un dibattito civile e di spessore politico: molto meglio del populismo alle cozze pelose di Michele Emiliano», ragiona un parlamentare. E un dirigente renziano di prima fascia è ancora più netto: «Magari si candidasse Orlando: finalmente sarebbe un congresso vero, su proposte politiche intellegibili. Noi siamo favorevoli». Per aprire la strada alla discesa in campo del Guardasigilli, però, va tolta di mezzo la variabile impazzita Emiliano, che rischia di togliere voti a sinistra. Resta però da capire se il governatore di Puglia sia disposto a rinunciare, e in cambio di che, alla sua partita nazionale, che gli consentirebbe di evadere finalmente dalla Puglia.

Al Nazareno, dunque, ieri sera sembrava aprirsi uno spiraglio alla mediazione orlandian-franceschiniana, che avrebbe un indubbio vantaggio per Renzi: lascerebbe tutto in mano a Bersani e ai suoi prodi il cerino di una rottura incomprensibile, a fronte di una disponibilità del segretario del Pd a rallentare la corsa e a chiudere definitivamente la strada del voto a giugno. Che oltretutto spingerebbe il povero Bersani nelle braccia di Massimo D'Alema in una sorta di Rifondazione comunista del 3%: una fine che l'ex segretario si risparmierebbe volentieri.

Presto si capirà se la mediazione funziona o se il Pd va verso la spaccatura definitiva.

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