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La Schlein vede papà Salis. "Ilaria non sarà candidata"

La leader Pd in ritirata sulla presenza in lista dell'insegnante agli arresti a Budapest. Ma il partito si spacca: "Perché no?"

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Una giornata di attesa e di voci, alimentate dall'incontro a sorpresa fra Elly Schlein e Roberto Salis, papà di Ilaria. Poi verso sera, la segretaria del Pd cancella le suggestioni: «L' ipotesi di candidare Ilaria Salis non è in campo». Così nel salotto di Bruno Vespa si chiude prima ancora di cominciare, la corsa di Salis verso Strasburgo. Troppi problemi. Troppe divisioni nel partito. Troppe difficoltà, anche se per ore era circolata una doppia possibilità: offrire all'insegnante, detenuta da più di un anno in Ungheria, la candidatura come capolista nel Centro oppure nella stessa posizione nelle isole, viste le sue origini sarde.

Per qualche ora questa narrazione regge e c'è chi la accredita, anche se non mancano i critici e c'è chi teme che in questo modo l'Ungheria si possa irrigidire ancora di più. Ma il faccia a faccia che nessuno si aspettava, almeno così a breve, fra Salis senior e la segretaria del Pd, fa pensare che un qualche accordo sia vicino. Anche se l'ala riformista non vede di buon occhio un arrivo così vistoso, sia pure dall'alto valore simbolico. Il partito, tanto per cambiare si spacca: nelle chat interne affiorano molte riserve; sull'altro fronte si spendono molti big a cominciare dall'ex segretario Nicola Zingaretti: «Perchè no? - dice alla Stampa - se è utile». E anche là vicepresidente del partito Chiara Gribaudo, ospite di Nicola Porro a Quarta repubblica, era stata possibilista: «Deciderà la segretaria. Il Pd è sempre aperto alla società civile».

Insomma, tormenti e divisioni; l'ingresso di Salis avrebbe scompagnato poi scelte e equilibri, già complicati e precari. Alla fine, a togliere tutti dall'imbarazzo è proprio Salis che nel meeting a quattr'occhi con la segretaria disegna un'obiezione non facilmente superabile: «Non so se lei accetterebbe». Considerazione che fa seguito a un'altra preoccupazione, sollevata sempre dall'infaticabile padre in un colloquio con Huffpost: «Ma se all'ultimo minuto cadesse la candidatura o se non scattasse il seggio, sarebbe un boomerang. Spero sia chiaro a tutti il luogo dove è detenuta». Insomma, la candidatura avrebbe rappresentato fatalmente un atto di sfida all'Ungheria che già è sul piede di guerra. Dopo tutto quello che era successo, Salis è riapparsa in aula ancora in catene, in una situazione mortificante e inaccettabile per i parametri della giustizia europea, a maggior ragione per una detenuta che non è stata ancora condannata. Meglio frenare, almeno su questo versante.

La palla torna così a Schlein che davanti alle telecamere di Porta a porta chiude la querelle: «Non é in corso nessuna trattativa. Ho incontrato il padre di Salis per discutere di come aiutare a toglierla da una condizione come questa. Nel dibattito sul totonomi terrei fuori una situazione delicata come questa». Schlein non scioglie nemmeno il nodo della propria candidatura: «In un partito che non è personale ma plurale, la prima cosa che viene è la squadra. La mia valutazione la faró una volta che abbiamo completato la squadra». Insomma, Elly si tiene coperta e il caso Salis torna alla casella di partenza. Con un processo che si trascina con ritmi lentissimi e la classe politica spaccata sull'atteggiamento da tenere: la maggioranza sostiene che si dovrebbe lavorare in silenzio, depoliticizzando la questione, l'opposizione invece punta dritta contro Orban e ha mandato una delegazione all'ultima udienza, a Budapest. In questo quadro, Roberto Salis tira bacchettate a tutti. All'Ungheria: «Hanno già emesso il verdetto». A Meloni: «Non risponde». A Tajani: «Si faccia un esame di coscienza».

E, prima di incontrarla, anche a Schlein: «Ha fatto confusione».

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