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La scissione del Pd può costare a Renzi il sorpasso di Grillo

La minoranza dem vale intorno al 10%, circa un terzo dei voti accreditati al partito nei sondaggi. La scissione può quindi costare a Renzi il sorpasso di Grillo. La vera partita però, si gioca con gli indecisi

La scissione del Pd può costare a Renzi il sorpasso di Grillo

Le elezioni europee non possono essere un punto di riferimento per misurare il seguito delle forze politiche in termini di voti. Tutte le analisi al riguardo hanno mostrato come si tratti per molti versi di una scelta «in libera uscita», anche tenendo conto del fatto che sono consultazioni «di secondo ordine»: gli analisti le hanno definite in questo modo per sottolinearne la scarsa rilevanza politica e decisionale.

Dunque, il 40% ottenuto dal Pd alle ultime europee, malgrado se ne continui a parlare, non costituisce un dato su cui fare riflessioni serie. Tanto che nei sondaggi - malgrado il loro valore di stima e non di previsione di voto - oggi il Pd è stimato attorno al 33%. In mancanza di meglio è a questo dato che dobbiamo fare riferimento per tentare di capire cosa accadrebbe se, paradossalmente, si votasse domani. L'esito, naturalmente, sarebbe strettamente legato al sistema elettorale in vigore al momento delle consultazioni. Il che per ora è un'incognita. Ma anche prescindendo da quest'ultimo, il risultato è difficilmente prevedibile, data l'estrema indecisione di molti - almeno metà dell'elettorato - sul partito da votare e, di conseguenza, la grande importanza che avrebbe la campagna elettorale. Che riesce - molte analisi lo hanno dimostrato - a condizionare fortemente l'esito delle consultazioni. Tanto che circa un terzo dei cittadini matura la propria decisione negli ultimi quindici giorni, anche sulla base delle prese di posizione finali dei leader e dei dibattiti televisivi tra questi ultimi. Volendo provvisoriamente prescindere da questi, pur così rilevanti, fattori di incertezza si può fare qualche piccolo calcolo.

Oggi, come si è detto, il Pd è stimato attorno al 33%. Ma sul partito di Renzi incombe una minaccia di cui molto si è parlato in questi giorni: quella della scissione interna. Al riguardo i rumors sono numerosi e contraddittori. Ma tutto lascia pensare che essa sia un evento relativamente probabile nel breve o nel medio termine (specie se fosse accettata la modifica all'Italicum, richiesta in particolare da Forza Italia, di assegnare il premio di maggioranza alla coalizione anziché al partito). Le prime analisi mostrano che una eventuale forza politica creata dagli scissionisti faticherebbe a raggiungere il 10% e forse si assesterebbe attorno all'8-9%. Si tratta comunque di una quota di voti che verrebbe sottratta al Pd. In parte essa potrebbe venire compensata da voti provenienti dal centro, attirati dalla leadership di Renzi. Ma molti di questi consensi sono già oggi compresi nel 33% di cui si è detto.

Certo, l'assenza di una proposta credibile e trainante da parte del centrodestra (per ora non ve n'è traccia e l'eventuale alleanza Berlusconi-Salvini allontanerebbe una parte consistente dell'elettorato potenziale) potrebbe spingere verso il centro rappresentato in questo scenario da Renzi. Ma si tratta di flussi modesti. L'elemento decisivo sarebbe probabilmente costituito dai movimenti da e per l'astensione. Che dipendono completamente dalla campagna elettorale e, in particolare, dalla capacità di Renzi di mobilitare in modo convincente e credibile l'elettorato. Resta tuttavia il fatto che, allo stato attuale delle cose e delle conoscenze disponibili, è ragionevole pensare che il Pd uscirebbe indebolito dalle elezioni prevalentemente a causa della scissione interna. E che diventerebbe pericolosa la presenza dei 5 Stelle, oggi stimati al 23%. Un «sorpasso» è ancora poco credibile. Ma non costituisce uno scenario da escludere.

Il dibattito parlamentare di settembre e di ottobre mostrerà la consistenza e la reale risolutezza della minoranza Pd.

Che resta comunque un fattore del quale il presidente del Consiglio fa bene a preoccuparsi.

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