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Lo scontro sulla deforestazione dell'Amazzonia: Bolsonaro caccia lo scienziato dissidente Galvão

Via il direttore dell'istituto Inpe, ha mostrato lo scempio opponendosi al presidente

Lo scontro sulla deforestazione dell'Amazzonia: Bolsonaro caccia lo scienziato dissidente Galvão

San Paolo La politica contro la scienza, gli interessi economici contro quelli ambientali. L'Amazzonia sta facendo discutere come non mai in questi giorni in Brasile dopo che il governo Bolsonaro ha licenziato in tronco Ricardo Galvão, direttore del prestigioso Inpe, l'Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale. Sotto accusa la denuncia scientifica da parte dell'istituzione circa il pesante disboscamento in atto nel polmone verde dell'intero pianeta. Nella prima metà di luglio, in base ai dati satellitari, sono stati distrutti oltre 1000 chilometri quadrati di Amazzonia, il 68 per cento in più della superficie distrutta nell'intero mese di luglio del 2018.

Bolsonaro in persona ha reagito malissimo alla ricerca dichiarando pubblicamente che non rispecchia la realtà e ha addirittura parlato di «psicosi ambientalista», accusando Galvão di essere al servizio di ong straniere. «Posso essere licenziato - ha controbattuto Galvão - ma non si può attaccare l'Inpe». Attacchi che sarebbero cominciati già a gennaio da parte all'inizio solo del ministero dell'Ambiente. «Vista la solidità scientifica delle nostre ricerche da oltre trent'anni - continua Galvão - mai avrei pensato che sarebbe intervenuto addirittura il presidente della Repubblica».

L'ormai ex direttore dell'Inpe difende senza sosta il valore del lavoro degli scienziati che dirige. «Abbiamo cominciato a raccogliere questi dati dagli anni Settanta e dal 1988 abbiamo la più grande banca dati al mondo sulla deforestazione delle foreste tropicali». Per poi aggiungere: «Ho 71 anni di cui 48 da funzionario pubblico. Bolsonaro sta facendo accuse pesantissime ai livelli più alti della scienza brasiliana. Sembra una barzelletta di un ragazzino di 14 anni, non si confà a un presidente della Repubblica. Si comporta come se fosse al bar».

A sostenere a livello internazionale il lavoro dell'Inpe è scesa in campo adesso Greenpeace secondo la quale «le politiche di Bolsonaro stanno distruggendo l'Amazzonia». A confermarlo anche i dati dei rilevamenti satellitari e acquatici della Nasa. In tutto questo il nuovo governo Bolsonaro non avrebbe proposto alcuna soluzione concreta al problema della deforestazione. Per Greenpeace «invece di combattere i risultati scientifici, il governo dovrebbe adempiere alla sua funzione di proteggere il patrimonio ambientale del Brasile. In questo modo si favoriscono solo coloro che commettono crimini ambientali».

Insomma Bolsonaro sembra aver cambiato - e di molto - il tono del suo discorso dopo che lo scorso gennaio appena eletto, nel suo battesimo del fuoco a Davos, aveva sbandierato «un Brasile diverso». «Siamo uno dei primi Paesi per le bellezze naturali - aveva detto -. Venite a conoscere la nostra Amazzonia, le nostre spiagge. Il Brasile è un paradiso ma è ancora poco conosciuto». E ancora, ergendosi ad una sorta di nuova Marina Silva, politica simbolo per anni della lotta per la preservazione dell'Amazzonia, aveva dichiarato sempre a Davos che «il Brasile è il paese che meglio preserva l'ambiente. La nostra missione è quella di avanzare nella compatibilità tra difesa dell'ambiente e della biodiversità e la crescita economica». Peccato che la lobby che più lo ha sostenuto in campagna elettorale fosse quella dei «ruralistas», i grandi latifondisti che sostengono la deforestazione a favore dei propri interessi economici.

In difesa dell'Amazzonia in queste stesse ore, invece, sono scesi in campo sette dei nove governatori degli stati brasiliani che ne sono attraversati che hanno rinnovato la firma della «Carta di Palmas», un accordo di intenti e azioni per uno sviluppo sostenibile della regione.

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