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Se la coscienza non è affare di Stato

Fertility day, che idea straordinaria. Non originalissima però. Qualcuno, in passato, ci aveva già pensato

Se la coscienza non è affare di Stato

Fertility day, che idea straordinaria. Non originalissima però. Qualcuno, in passato, ci aveva già pensato. Ricordate il famoso discorso dell'Ascensione che Benito Mussolini tenne alla Camera dei deputati nel lontano 1927? Il Duce annunciava con tono solenne la «battaglia demografica» per l'aumento forzato della popolazione, per il «trionfo della vita» e la «sanità della stirpe», contro «la vigliaccheria morale delle classi superiori» e quella degenerazione esterofila che distraeva le donne dalle attività familiari e persuadeva gli uomini a ritardare il matrimonio.

Sull'onda di quella campagna una tassa sul celibato fu imposta ai «disertori della paternità». Bei tempi, eh? Queste parole insieme alle immagini dell'Istituto Luce, con donna Rachele Mussolini che presenzia all'inaugurazione della Casa della donna e del bambino, devono aver ispirato la contestatissima campagna del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. «Non facciamo una campagna per far nascere i bambini», ha replicato lei dopo le polemiche scatenate da brillanti slogan natalisti come «La bellezza non ha età. La fertilità sì», o ancora «Datti una mossa! Non aspettare la cicogna». Affermazioni difficilmente equivocabili: fate figli, non c'è tempo da perdere. Adesso il ministro, sconfessato pure dal premier Matteo Renzi, corre ai ripari precisando che le «poche» cartoline controverse saranno modificate. Ma ce ne sono bastate un paio per capire l'antifona. Sei donna? L'orologio biologico è inarrestabile, non sarai fertile per sempre, sbrigati a figliare. C'è però un dettaglio, evidentemente sfuggito ai promotori della campagna: un conto è se tua madre, al telefono, ti ricorda che vorrebbe diventare nonna e che a trent'anni sei già meno fertile di cinque anni fa, un conto è se a scandire il conto alla rovescia ci pensa lo Stato. Fa differenza, non trovate?

Archiviati i discorsi dell'Ascensione e le sfilate da Istituto Luce, nell'Italia del terzo millennio vorremmo poter scegliere se e quando procreare, senza subire una insopportabile ingerenza governativa. Sappiamo bene che, con il passare degli anni, diventiamo meno fertili, non abbiamo bisogno che ce lo ricordi il ministro Lorenzin. La quale peraltro, dopo aver partorito due gemellini a 43 anni, potrebbe prestarsi allo spot inverso: c'è speranza per tutti. Il governo si occupi piuttosto degli asili nido pubblici che scarseggiano, della diffusione dei metodi contraccettivi, ordinari e d'emergenza, dell'accesso alle tecniche di procreazione assistita, eterologa inclusa, più costose e restrittive che altrove: queste sono le precondizioni per una gravidanza responsabile e consapevole. La salute riproduttiva non si tutela inneggiando alla cicogna. Negli anni Sessanta il destino di una donna era procreare, oggi è vivere. Nelle aree economicamente più depresse del paese si figlia di più, vi siete chiesti il motivo? Lo spiega l'economia dei paesi in via di sviluppo: man mano che il livello di benessere aumenta, diamo più valore a ogni vita che mettiamo al mondo. Vogliamo dare ai nostri figli più opportunità di quelle che abbiamo ricevuto. È per questo che, tendenzialmente, facciamo meno figli e soltanto dopo aver raggiunto una stabilità economica. È un atto di responsabilità. Si fanno i figli quando si è pronti, e solo se si desiderano davvero. La scelta di non farne non è meno rispettabile. C'entra il nostro egoismo? Fare un figlio, donare la vita a chi non l'ha chiesta, è sempre un atto egoistico. Ma di tutto questo dobbiamo render conto alla nostra coscienza, non certo al governo.

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