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Se i grillini bloccano le grandi opere venti imprese rischiano il fallimento

Gli azzurri: «Con lo stop a 28 infrastrutture, addio a 400mila posti di lavoro»

Se i grillini bloccano le grandi opere venti imprese rischiano il fallimento

I grillini non sanno quello che fanno. Anzi, forse lo sanno, che è anche peggio. La loro assurda crociata contro la modernità, le opere pubbliche, le infrastrutture, rischia di rovinare il Paese (più di quello che già è). Bloccare 28 grandi opere che sono ad oggi sul tavolo produrrebbe uno tsunami di proporzioni bibliche con 418mila posti di lavoro persi, 33,2 miliardi di euro bloccati, 125 miliardi persi per il blocco di opere minori, ma soprattutto 20 grandi imprese edili a rischio fallimento.

Questo è il quadretto che emerge dallo studio presentato dal gruppo parlamentare di Forza Italia alla Camera dal titolo «Contro i terminator delle opere pubbliche». Secondo questo dossier bloccare le grandi opere avrebbe conseguenze devastanti: le oltre 600 opere minori bloccate metterebbero a rischio 400-500mila posti di lavoro con una ricaduta di circa 125 miliardi sull'economia; le 28 grandi opere bloccate avrebbero un costo superiore ai 100 milioni ognuna per un valore totale degli investimenti pari a 33,2 miliardi.

In Lombardia la Brescia-Verona ad alta velocità, l'autostrada Cremona-Mantova, il primo lotto raccordo autostradale A4-Val Trompia e il progetto terzo ponte sul raccordo A21-Castelvetro piacentino. In Veneto le tangenziali Verona-Vicenza-Padova, la superstrada itinerario Valsugana-Valbrenta-Bassano, la terza corsia A22 da Verona a Modena. In Piemonte non c'è solo la famigerata Tav Torino-Lione, ma anche la A33 Asti-Cuneo e il tunnel del Colle di Tenda. In Liguria la Gronda di Genova e il nodo ferroviario di Genova, la statale 1 Nuova Aurelia, il nuovo ospedale di La Spezia. In Toscana la terza corsia A11 tra Firenze e Pistoia, l'autostrada Tirrenica, il sistema tangenziale lucchese. In Emilia-Romagna l'autostrada Cispadana, il raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi, il collegamento autostradale Campogalliano-Sassuolo. Nelle Marche il collegamento tra porto di Ancona e A14 e SS16. In Campania la Telese-San Lorenzo della Napoli-Bari e il progetto del Sarno. In Basilicata il collegamento Murgia-Pollino. In Puglia la statale Maglie-Leuca. In Sicilia la SS117 itinerario Nord-Sud. E, infine, in Calabria il megalotto 3 della SS Jonica e il completamento dell'ospedale Morelli.

Una grande «operazione verità» sullo stato delle infrastrutture che i parlamentari di Forza Italia hanno denunciato a Montecitorio presentando il «Manifesto per l'Italia che avanza», in cui viene illustrata quello che a loro avviso è il reale stato dei cantieri nel nostro Paese, a dispetto di quanto annunciato dall'esecutivo gialloverde. Tra le soluzioni per uscire dall'impasse, la principale risiederebbe nella revisione del codice degli appalti. La capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini annuncia la presentazione di un progetto di riforma: «Siamo l'unico partito che da sempre si è schierato per le infrastrutture, mentre la sinistra, che oggi riscopre una verginità sulla Tav, in passato ha coperto i no Tav e ha tenuto bloccate le grandi opere. Presenteremo un'interpellanza o un'interrogazione per ogni opera bloccata: non daremo tregua a questo governo. Con l'attuale codice degli appalti è stato creato un clima da caccia alle streghe. Non c'è solo la Tav. Sono tanti i cantieri fermi nel nostro Paese. Segnalateci le opere bloccate nel vostro territorio e sblocchiamo l'Italia!». «Noi non siamo ossessionati dalla Tav - gli fa eco il portavoce di Forza Italia Giorgio Mulè - ma dall'incapacità di questo governo.

Ogni miliardo investito nelle opere vale 15mila posti di lavoro».

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