Cultura e Spettacoli

Se i social diventano la dittatura dell'odio

Lo showman, che non farà più tv, preferisce il teatro. E fa bene. Perché il livello di insulti su Twitter e Facebook ha superato il limite

Se i social diventano la dittatura dell'odio

Poche parole. Ma quelle giuste. Fiorello ha scelto Periscope, l'applicazione video di Twitter, per dire la sua sui social e sulla tv. Un filmato di circa venti minuti chiaro e immediato, anzi conciso e concettoso. Per riassumere, la tv «non fa più per me, troppe prove, troppo stress e soprattutto troppe critiche da parte dei cosiddetti haters». E poi i social: «Quelli non fanno testo. Se ci mettiamo a dare retta agli haters che stanno a casa davanti al computer... Fanno i fighi su Twitter, ma per scrivere una battuta ci mettono mezz'ora, su Periscope non ce la fanno, hanno paura di misurarsi con la diretta». Parole chiare. Dirette. E soprattutto calate nello spirito del tempo, sempre più mal disposto verso l'immancabile fuoco di fila dei social network alimentati dall'odio purchessia, dallo sfogo poco lucido e spesso unicamente motivato da rancori personali svincolati dalla critica. Per dirla tutta, prima i social network erano un curioso, inedito e affascinante trait d'union tra noi uomini della strada e i cosiddetti vip. Adesso sono diventati un immenso ricettacolo di sospetti gratuiti, maldicenze casuali e molto spesso, sempre più spesso, offensive. A chi ha pochi follower su Twitter o amici su Facebook può sembrare un fenomeno marginale e tutto sommato sopportabile. Invece per chi viaggia a centinaia di migliaia di follower, la mitragliata quotidiana di gratuità offensive mese dopo mese rischia di diventare indigesta. E se lo dice persino Fiorello, uno che con il pubblico ha un rapporto da tre decenni quasi simbiotico, vuol dire che i livelli di guardia sono ormai stati ampiamente raggiunti. «In teatro mi vengono a vedere solo quelli che mi stimano». E difatti, proprio nello stesso video su Periscope, ha preso le difese di Enrico Ruggeri, massacrato soltanto perché ha accettato di fare «la pubblicità del salame: una critica becera, snob, laida» (e Ruggeri ha apprezzato al punto da scrivere scherzosamente: «Ti volevo bene già prima, adesso passo all'attrazione fisica»).

Dopotutto Fiorello non è l'unico che negli ultimi tempi ha dato segni di insofferenza. Il primo in Italia è stato forse Enrico Mentana, agghiacciato dalla quantità di critiche spesso immotivate che lo crocifiggevano su Twitter. Umberto Eco ha scritto da poco che i social «danno diritto di parola a legioni di imbecilli», ma lui fa testo fino a un certo punto, vista la sua scarsa confidenza con i social e il suo ampio cinismo comunicativo. Contano di più le posizioni di chi non ha mai sottovalutato il pubblico come Carlo Verdone, sempre molto cauto nell'affrontare l'argomento social. O di Monica Bellucci, che si guarda bene dall'affidare i propri pensieri a un network nonostante sia abituata da tanto tempo ad affidare il proprio volto agli schermi di tutto il mondo.

Paradossi della modernità.

In fondo Fiorello non ha fatto altro che sollevare un problema di clamorosa attualità. E lo ha fatto con un video postato su Periscope a un'ora del mattino (più o meno l'alba) che di solito è fuori dagli orari tipici della comunicazione sociale. Fosse stato uno qualunque, lo sfogo sarebbe «passato in cavalleria» senza colpo ferire, ignorato da quasi tutti. Invece anche stavolta questo Fiorello, per brevità chiamato showman, ha dimostrato di essere un preciso opinion leader. Azzeccando tempi e modi. Non a caso da due giorni tantissimi hanno ripreso le sue dichiarazioni e la gente che piace ha iniziato a commentare. Quasi tutti dicendo il contrario di ciò che pensano. Perché, parliamoci chiaro, l'insulto gratis logora solo chi lo riceve. Chi lo fa generalmente si sente meglio ed è una sorta di psicoterapia di gruppo che ha soltanto oneri per i personaggi più conosciuti e raggiungibili. E non è soltanto un problema italiano. Negli ultimi anni tante popstar e tanti attori hollywoodiani si sono cancellati dai social o hanno iniziato un sofferto pellegrinaggio avanti e indietro, azzerando il proprio account e poi ripristinandolo perché, sia chiaro, i social network sono comunque una gioiosa macchina da guerra promozionale e, come dimostra una recentissima ricerca, i ragazzi spesso non seguono la tv e si informano su Facebook.

Però c'è un limite. E lo sfogo di Fiorello lo conferma. Non è stato scatenato, come ha scritto maliziosamente qualcuno, dalla sua assenza dai prossimi palinsesti Rai (che non ha mai cercato), ma dalla natura di uno showman che trova entusiasmo e ispirazione parlando con il proprio pubblico la lingua dello spettacolo e non quella dell'odio.

Quella con lo spettacolo non c'entra proprio.

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