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Se la Via della Seta torna nelle facoltà. Il "cinese" Diliberto e la truppa di prof

A Roma evento sulla "diversità dei diritti umani" con una folta delegazione fra diplomatici e accademici. Farà gli onori di casa l'ex ministro e padre del nuovo codice civile di Pechino, grande difensore del regime

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C'è una «via della Seta» accademica accanto a quella ufficiale della diplomazia e dell'economia. Corre dietro il paravento presentabile del dialogo (sempre auspicabile) ma prelude comunque a cospicui interessi che Pechino coltiva anche in Italia, come in altri Paesi considerati permeabili.

È lastricata anche di eventi e istituti culturali la colonizzazione strisciante che la Cina non smette di perseguire, per quando ammaccata dal Covid e dai recenti terremoti finanziari. E un momento importante di questa penetrante «diplomazia culturale» va in scena dopodomani a Roma, nella sala conferenze di un grande albergo, dove si celebra il «Seminario sino-europeo sui diritti umani 2023», con una delegazione nutritissima: decine di professori e autorità varie, fra i quali il direttore dell'Istituto Confucio e il capo della «China Society for Human Rights Studies».

A fare gli onori si casa, una vecchia conoscenza della sinistra italiana, Oliviero Diliberto, oggi preside della facoltà di Giurisprudenza dalla Sapienza. Già comunista (di osservanza cossuttiana), mai pentito al punto di diventar esponente di Rifondazione comunista prima, e del Partito dei Comunisti italiani poi (ne è stato anche segretario), Diliberto è stato ministro della Giustizia per poco meno di due anni (sulla famosa «scrivania di Togliatti) e ormai è soprattutto un importante giurista, docente di diritto romano, tanto esperto da insegnarne le gloriose Istituzioni alla Zhongnan University of Economics and law di Wuhan, dove è «chair professor».

È proprio in veste di preside (ed ex ministro) che Diliberto interverrà nella cerimonia d'apertura del seminario, prima dell'ambasciatore cinese in Italia Jia Guide e subito dopo l'apertura riservata a un importante esponente del National People Congress, Padma Choling. D'altra parte, il nome di Diliberto è garanzia di amicizia per il partito comunista cinese. Diliberto infatti è stato il protagonista di una grande impresa giuridica: l'innesto del diritto romano nel primo codice civile cinese, come ha spiegato con giusto orgoglio in un'intervista a RaiNews. «Un cambiamento epocale», disse a proposito di questa opera monumentale: 7 libri, oltre 1200 articoli su famiglia, contratti, diritti individuali e d'autore, privacy. Il suo lavoro - lo ha detto lui stesso - è iniziato «ancora prima di Tiananmen», nella fase in cui la Cina introdusse elementi di mercato e proprietà individuali in un sistema di statalismo pervasivo. Ed è stato, a suo dire, soprattutto un lavoro di formazione di giovani e brillantissimi docenti cinesi.

Ma la vocazione di Diliberto è andata ben oltre il pur prestigioso lavoro accademico. La consonanza ideologica si è fatta sentire, tanto che un anno e mezzo fa, poche settimane dopo l'aggressione russa contro l'Ucraina, il corrispondente di Radio Radicale dall'estremo Oriente, Francesco Radicioni, lo scovò sulla Tv di Stato cinese mentre discettava di arroganza dell'Occidente additando la Nato. E nella stessa intervista alla Rai, minimizzava sull'autoritarismo di Xi Jinping: «Non sono d'accordo sull'idea della svolta autoritaria - diceva - nel senso che Xi Jinping ha prolungato il suo mandato, come il mandato di qualsiasi presidente, oltre i 10 anni». Lo paragonava a Roosevelt e spiegava: «In Cina non c'è la democrazia occidentale, c'è un'altra democrazia che è il potere del popolo».

E proprio l'idea (relativista?) che in Cina valga «un'altra democrazia», con «altri diritti», pare alla base del seminario di Roma, dedicato appunto alla «diversità» dei diritti umani. Un altro bell'esempio di diplomazia, o colonizzazione culturale strisciante, dopo gli «Istituti Confucio» di cui il Giornale ha parlato ieri.

L'impatto che possono avere? Basta pensare al caso di un anno fa al Politecnico di Milano, dove un professore cinese - poi sanzionato dall'ateneo - in un videocollegamento pubblico redarguì pubblicamente un suo studente, «colpevole» di aver indicato Taiwan come Paese di provenienza, in un modulo.

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