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Se stare sotto i riflettori per i giudici conta più dei diritti delle vittime

Il processo penale ha fatto saltare gli indennizzi Il magnate svizzero: "Così ho aiutato le famiglie"

Se stare sotto i riflettori per i giudici conta più dei diritti delle vittime

In che mani siamo? Il «re» è sbattuto in carcere ingiustamente da un magistrato ancora operativo. E poiché le toghe italiane sono irresponsabili per definizione, tocca a noi contribuenti risarcire la vittima blasonata. Nel caso Eternit si apprende che il processo non doveva neanche cominciare e che l'Italia è l'unico Paese al mondo dove la vicenda assume rilevanza penale e, per paradosso, le vittime perdono il diritto al risarcimento.

Andiamo con ordine. Ieri sono state depositate le 146 pagine di motivazioni con cui lo scorso 19 novembre la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna a 18 anni di carcere nei confronti del magnate svizzero Stephan Schmidheiny a capo di Eternit Italia negli anni '70 e '80. Abbiamo scoperto che il processo del secolo, che avrebbe dovuto lanciare il procuratore Raffaele Guariniello verso la creazione della Procura nazionale contro i reati ambientali, è nato morto. Per accorgersene bastava saper far di conto: uno, due, tre. Viene il sospetto che chi era tenuto a far di conto se ne sia infischiato dei numeri che gli ordinavano di fermarsi. Meglio tirare dritto, a favore di telecamera. La Suprema Corte rileva che la prescrizione è intervenuta prima ancora del rinvio a giudizio facendo decadere «tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni».

Bye-bye risarcimenti. E a pagare sono di nuovo i poveri cristi. Nei 40 paesi in cui si è verificata la tragedia dell'amianto i medesimi fatti accaduti negli stabilimenti italiani di Eternit si sono tradotti in cause civili, in risarcimenti milionari alle vittime, in alcuni casi persino nella bancarotta dell'impresa. Se il resto del mondo ha battuto la via del civile, l'Italia e soltanto l'Italia - quella dei casi Thyssen, Ilva e via discorrendo - si è affidata al processo penale, formidabile strumento pedagogico e salvifico. La crociata turboambientalista di una procura, ben supportata dalla grancassa mediatica, ha innescato una colossale vicenda giudiziaria in cui l'imputato Schmidheiny, che oggi di anni ne ha 67, si è sentito paragonare dal giudice d'appello ad Adolf Hitler e la sua gestione imprenditoriale alla Soluzione finale della questione ebraica. Una bella pubblicità per il sistema Italia perché gli investitori non vedono l'ora di puntare su un Paese in cui la giustizia non è soltanto lenta, ma è anche minacciosa. E lo diventa ogni giorno di più. Minaccia la libertà personale dell'imprenditore con un grado d'invasività che, come conferma la Cassazione, non trova fondamento nella legge. Ma nell'arbitrio di un branco di funzionari pubblici che si credono legibus soluti . Vinto un concorso, non rispondono più ad alcuno. Alla fine della storia il magnate paragonato a Hitler, ancor prima che il processo di primo grado avesse inizio, ha aperto i cordoni della borsa «su base esclusivamente volontaria», come precisa il suo avvocato Astolfo di Amato. Proprio così: per paradosso, le vittime pregiudicate dall'intemerata giudiziaria hanno trovato ristoro nello spirito umanitario di uno svizzero che difficilmente tornerà in Italia anche solo per un weekend. La «procedura d'indennizzo» è già stata completata per circa 1500 posizioni. Avendo ogni vittima diversi eredi, sono migliaia le persone già «indennizzate» per un totale di 50 milioni di euro elargiti. «Dal principio - dichiara Schmidheiny in esclusiva al Giornale - ho voluto questo programma di assistenza alle vittime dell'amianto che hanno lavorato negli stabilimenti Eternit italiani. Gli aiuti da parte mia non cesseranno. Anzi, la sentenza della Cassazione è un incentivo a proseguire». Va precisato che non si tratta di un risarcimento dacché non c'è mai stato alcun riconoscimento di colpa da parte dei vertici Eternit.

E la Cassazione alla fine ha dato loro ragione.

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