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Se vince il No Renzi va al Colle

I giovani guadagnano il 26,5% in meno di 25 anni fa. Il ministro Delrio: andrà da Mattarella per prendere atto

Se vince il No Renzi va al Colle

Difficile fare figli, studiare, farsi assumere, investire e produrre. In altre parole l'Italia non è un paese per giovani e sotto la guida del governo Renzi lo è diventato ancora meno. Al netto della narrazione delle varie Leopolde e nonostante l'età media del premier e dei ministri, tutti gli indicatori puntano verso il grigio. Il capitolo principale del rapporto Censis 2016, presentato ieri nella sede del Cnel, è esplicito: «L'Italia rentier che non investe sul futuro: figli più poveri dei nonni, il Ko economico dei giovani».

Il premier è alle prese con il referendum. Ieri il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio ha confermato che se vinceranno i No, il governo si dimetterà: occorrerà «prendere atto, e andare dal presidente della Repubblica».

La generazione sulla quale Renzi ha puntato di più, anche per il voto, è quella che sta pagando il prezzo più alto. L'istituto guidato da Giuseppe De Rita parla di «ko economico dei millennial» che hanno «un reddito inferiore del 15,1% rispetto alla media dei cittadini» e una ricchezza familiare che, per i nuclei under 35, è quasi la metà della media (-41,2%).

I giovani dell'Italia rottamata, 25 ani fa, avevano redditi più alti del 26,5% rispetto a quelli di oggi. Nel complesso, il reddito delle famiglie si è ridotto dell'8,3 per cento.

A compensare la perdita di ricchezza dei giovani, ci sono gli over 65enni, il cui reddito nell'ultimo quarto di secolo è aumentato del 24,3%. Merito soprattutto delle pensioni, passate da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%) tra il 2008 e il 2014. Le pantere grigie, con redditi alti e carriere stabili, vanno in pensione con 40 anni di contributi e, come tradizione, restituiscono, prestando «ad altri un aiuto economico». È la solidarietà familiare che soppianta, non da oggi, il welfare.

La crescita dell'occupazione registrata nel 2015 non basta e il Censis parla del rischio di un «bolla». Il lavoro, non si crea per decreto, ad esempio con misure temporanee come la decontribuzione. Un caposaldo delle riforme renziane criticato alla radice.

Narrazione renziana contro dati e analisi sociologiche del Censis anche sul capitolo sommerso. In Italia c'è una «prolungata e infeconda sospensione, dove le manovre pensate in affannata successione non hanno portato» risultati ed è emersa una «seconda era del sommerso», che punta, dal risparmio cash alla sharing economy, alla «ricerca di più redditi». Un «sommerso post-terziario, dove vive un magma di interessi e comportamenti, un'onda profonda di soggetti e di scelte». Un magma dove la precarietà è la norma.

Anche quando gli italiani devono scegliere dove tenere i soldi. Quasi il 36% tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Per questo, spiega il Censis, nel 2015 la percentuale degli investimenti sul Pil in Italia è stata pari al 16,6%, ai minimi dal Dopoguerra, contro una media europea del 19,5%. La Francia si attesta al 21,5%, la Germania al 19,9% e la Spagna 19,7%.

Unico segnale di vitalità è il boom di start up, imprese innovative, che sono quadruplicate in tre anni. «In Italia abbiamo una forte continuità di cui nessuno si accorge perché non si vede: è come l'aria». Una «incredibile patrimonializzazione e anche delle filiere economiche che reggono benissimo e vanno anche più forte rispetto a 30 anni fa».

L'Italia che funziona, insomma, è quella del privato.

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