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Il Senato assolve Minzolini. Si riapre il caso Berlusconi

Respinta la decadenza dell'ex direttore del Tg1. Uno schiaffo alla legge Severino che può riabilitare il Cav

Il Senato assolve Minzolini. Si riapre il caso Berlusconi

Favorevoli 137, contrari 94, astenuti 20: con una maggioranza schiacciante il Senato ieri mattina salva Augusto Minzolini, che doveva lasciare Palazzo Madama in base alla legge Severino; e contemporaneamente apre un brusco e profondo varco nel muro che tiene lontano dal Parlamento Silvio Berlusconi, che in base alla stessa legge venne dichiarato decaduto dal seggio di senatore nel novembre 2013. Sul tavolo della Corte europea dei diritti dell'uomo, chiamata a breve a decidere sul ricorso del Cavaliere, l'ordine del giorno approvato ieri dal Senato piomberà nelle prossime ore, e potrebbe cambiare l'esito della sentenza.

Le analogie tra i due casi sono cospicue. Minzolini, come Berlusconi, è stato condannato con sentenza definitiva a più di due anni di carcere, il tetto oltre il quale la «Severino» prevede la estromissione dalle cariche: nel 2015 la Cassazione lo ha condannato a due anni e mezzo per peculato, al termine del processo per i rimborsi spese incassati quando era direttore del Tg1. Come nel caso di Berlusconi, i fatti contestati a Minzolini erano precedenti all'entrata in vigore della legge Severino. E come nel caso Berlusconi, la Giunta parlamentare per le immunità aveva votato per la sua decadenza immediata.

Ieri, invece, in aula cambia tutto: Forza Italia presenta un ordine del giorno che respinge la decisione della Giunta, sul voto a favore converge un folto gruppo di senatori del Pd che aveva lasciato libertà di coscienza. Il seggio di Minzolini è salvo. E anche se il giornalista lo lascerà spontaneamente («mi dimetterò in ogni caso», aveva detto prima del voto, e subito dopo conferma: «manderò la lettera di dimissioni») l'impatto politico della decisione dell'aula di Palazzo Madama è quello di un terremoto. «Oggi è stata abolita la legge Severino», tuona il senatore azzurro Lucio Barani. E gli occhi si puntano inevitabilmente sulle conseguenze che la decisione bipartisan avrà sul caso Berlusconi a Strasburgo.

Il leader di Forza Italia è stato tra i primi a telefonare a Minzolini per congratularsi, «è una bellissima notizia, è un inversione di tendenza, è un giorno nuovo» e poi ha aggiunto ai suoi interlocutori: «Il tempo è galantuomo, il garantismo prima o poi prevarrà anche per me». Negli stessi minuti, i suoi legali - con in testa Niccolò Ghedini - si preparano a portare il voto di Palazzo Madama al centro di una memoria aggiuntiva da recapitare sul tavolo dei magistrati di Strasburgo che hanno (ormai da cinque anni) sul tavolo il ricorso dell'ex premier contro la decisione che, tre mesi dopo che la Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna per frode fiscale, lo depose dallo scranno e lo dichiarò ineleggibile fino al 2019.

Le conseguenze del caso Minzolini sul caso Berlusconi sono, dicono i legali, «dirette e immediate». Il ragionamento che lo staff difensivo del Cavaliere sottoporrà ai giudici della Corte europea è semplice. Finora, il governo italiano ha sostenuto che il voto parlamentare di decadenza è un atto puramente formale, una presa d'atto automatica e senza poteri discrezionali. Il voto di ieri mattina del Senato dimostra esattamente il contrario, e cioè che si tratta di un voto giurisdizionale e politico: praticamente una nuova sentenza, contro la quale - e qui sta il problema - accusa e difesa non sono ad armi pari. La magistratura potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale contro la decisione pro-Minzolini; invece Berlusconi non può ricorrere alla Consulta contro il voto che lo ha estromesso.

E questa disparità, secondo tutte le sentenze di Strasburgo, viola i trattati europei.

E questa svolta arriva in extremis: per il prossimo 21 marzo la Corte europea aspetta le ultime deduzioni del governo italiano, poi tutto è pronto per la sentenza che potrebbe riportare il Cavaliere in Parlamento.

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