Politica

Senato, primo round al governo con l'aiutino dell'arbitro Grasso

Fra le proteste di Lega e grillini, ok all'articolo 1 del ddl Boschi. Il presidente dissinesca le trappole del voto segreto. Ma la fronda del Pd torna alla carica

Maria Elena Boschi e Maurizio Saccon in Senato durante le votazioni
Maria Elena Boschi e Maurizio Saccon in Senato durante le votazioni

Sulla riforma del Senato la maggioranza si scopre assai più forte di quanto si pensasse alla vigilia, ma la strada è ancora densa di trappole. Anche se Matteo Renzi si mostra ottimista: «Abbiamo fatto un grande passo avanti». Ieri, dopo un defatigante dibattito durante il quale le opposizioni le hanno provate tutte per mettere in difficoltà sia il governo che la presidenza del Senato, si è alfine giunti al voto sull'ormai celeberrimo emendamento Cociancich, il grimaldello firmato dall'ex capo scout di Matteo Renzi che ha fatto saltare tutte le altre richieste di modifica al primo articolo del ddl Boschi, con relativi voti segreti. Centrodestra, leghisti e grillini hanno messo in atto ogni possibile contromossa per tentare di evitarlo, con Calderoli, nelle vesti di Hercule Poirot, che è arrivato a reclamare una perizia calligrafica sul testo originale per verificare che il senatore Pd ne fosse il reale estensore. Niente da fare: il presidente Grasso ha fatto notare che per «prassi consolidata» le firme di tutti i senatori «si considerano autentiche fino a prova contraria». E visto che ovviamente Cociancich riconosceva la sua, l'emendamento è stato messo ai voti, ed è trionfalmente passato con 177 sì, un record. Leghisti e grillini, per segnalare il proprio sdegno, non hanno partecipato al voto e hanno sventolato banconote false all'indirizzo di quei senatori del gruppo verdiniano che, come Lucio Barani, avevano annunciato il proprio appoggio alla riforma. Perfida la risposta di Barani: «Io faccio il medico, un lavoro ce l'ho e ben remunerato. Li invito a tenersi ben strette quelle banconote, temo che in futuro serviranno più a loro che a me». Affondati gli emendamenti, anche l'articolo 1 è stato approvato senza sorprese con una solida maggioranza, e il governo ha messo la prima tacca sul cammino della riforma.

Ora però la maggioranza si trova alle prese con il passaggio forse più delicato, quello del famoso articolo 2 che determina la composizione del futuro Senato. È l'articolo su cui più violento è stato lo scontro interno al Pd, con i 28 senatori anti-renziani che reclamavano l'elezione diretta e che sono stati messi a tacere dopo l'accordo siglato con il premier. Ma ieri diversi malpancisti Pd, che hanno mal digerito la debacle inflitta loro da Renzi, sono tornati alla carica, minacciando di votare gli emendamenti di Fi e Lega (in materia di minoranze linguistiche ed elettività) sui quali Grasso aveva concesso il voto segreto.

Un avvertimento esplicito è arrivato da Vannino Chiti, capofila della fronda: «Per il bene della riforma e dello stesso Pd - è la minaccia - il governo si guardi dall'operare altre forzature», e ricordi che «sulle norme transitorie e l'elezione del presidente della Repubblica va ancora trovato un accordo». La minoranza Pd insomma tenta ancora di forzare la mano, e la maggioranza ieri sera è tornata in allarme. Dietro le quinte di Palazzo Madama, con la supervisione della Boschi e di Luca Lotti e sotto lo sguardo del segretario generale di Palazzo Chigi, Paolo Aquilanti, regista della strategia sulla riforma, si studiano le contromosse insieme al capogruppo Zanda e ad Anna Finocchiaro.

L'idea di presentare emendamenti del governo per evitare i voti segreti è stata accantonata.

Ma alla ripresa serale della seduta e dopo un incontro col ministro Boschi, tra nuove proteste delle opposizioni, il presidente Grasso strizza l'occhio a Renzi e annuncia la bocciatura, causa incongruità dei testi, degli emendamenti a rischio.

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