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Il Senato vota le riforme e Grillo scende in piazza

Il leader M5S annuncia che martedì sarà a Roma per una manifestazione contro le modifiche costituzionali da domani all'esame di Palazzo Madama

Il Senato vota le riforme e Grillo scende in piazza

La riforma del Senato è praticamente fatta. Anzi quasi. Anzi chissà. Il via libera in commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama al ddl sul nuovo Senato e i numeri vantati in aula dovrebbero tranquillizzare Matteo Renzi, che però tranquillo non è. Un po' perché ci sono ancora molti nodi da sciogliere, un po' perché, come dice il viceministro Stefano Fassina, del Pd, «Senato e legge elettorale sono un pacchetto unico». Quindi la partita per il Senato 2.0 si lega a quella ben più combattuta per l'Italicum. In vista della quale tutti si stanno scavando la loro trincea.

Per questo Renzi si muove cauto e conta i giorni che mancano allo sbarco nell'aula di Palazzo Madama del disegno di legge in base al quale il Senato si dovrebbe di fatto suicidare. Domani il testo sulle riforme costituzionale sarà incardinato in aula, mentre solo nei giorni successivi si inizierà a fare sul serio. Toccherà al ministro Maria Elena Boschi covare la riforma come una chioccia amorevole per evitare sorprese. Perché le incognite sono tante: molte forze politiche favorevoli alla riforma cercheranno fino all'ultimo di strappare qualche concessione sull'Italicum, le forze minoritarie faranno gazzarra in ogni modo per allontanare il traguardo, il fronte interno al Pd continua a mugugnare anche se l'idea del premier è quella di uscire dall'assemblea del senatori dem di martedì con un partito compatto al voto sulla riforma (voleranno stracci, c'è da giurarci). Alla fine l'unica cosa che non fa perdere il sonno a Renzi è la tenuta dell'intesa con il Pdl, che pare impermeabile.

Dicevamo dei nodi. Sul nuovo Senato non è ancora gioco-partita-incontro. Il tema dell'immunità spettante ai nuovi senatori divide ancora e Renzi spera che tutto si risolva da sé in aula. Così come ci sono molti mal di pancia sui poteri ridottissimi del Senato 2.0, in particolare sullo scippo del voto sulle leggi di bilancio. Sembra invece blindato il no all'elezione diretta dei futuri senatori, sulla quale però i grillini hanno intenzione di fare come gli ultimi soldati giapponesi, dando battaglia oltre il fischio finale. Ieri il M5S ha fatto sapere che martedì 15 Beppe Grillo e i militanti saranno in piazza Madama a protestare contro il nuovo Senato non elettivo. L'appuntamento lo dà la senatrice Barbara Lezzi su facebook, in questo modo: «Sarebbe significativo che, chi può, non ci lasciasse soli e ci raggiungesse a Roma, martedì 15 luglio, ore 11 in Piazza Madama. Saremo con Beppe a dare voce ai cittadini che non vogliono essere esclusi dalle istituzioni. La riforma costituzionale che approderà in aula lunedì prossimo sancirà la sottomissione della Camera al governo e un Senato di non eletti».

Rogne in arrivo anche sul fronte della Lega, che pure in base alle formazioni di partenza questa partita giocherebbe con Renzi. Ieri il segretario del Carroccio Matteo Salvini è sembrato però prendere le distanze: «Sulle riforme - ha detto da Caltagirone, in Sicilia - l'importante è capire che fa Renzi, perché un giorno è qui e un altro è là. Noi ci stiamo se si difendono le autonomie locali il territorio e il lavoro, se vogliono riportare tutto allo Stato noi faremo le barricate». Ma il Senato che sta prendendo forma non piace all'altro Matteo: «Se serve deve essere eletto, se non serve deve essere chiuso. Le mezze misure alla Renzi, come per le province non servono a nessuno», taglia corto Salvini.

Tra i supercritici si iscrive anche l'ex ministro Corrado Passera, uscito (senza che nessuno ne sentisse davvero bisogno) da un lungo letargo: «Se il bicameralismo è sbagliato, dobbiamo avere il coraggio di dire che basta una sola Camera». E il leader di Sel, Nichi Vendola, nell'assemblea nazionale parla di «modalità con cui si è discusso di questi temi un po' umilianti per il Parlamento e per le prerogative del Parlamento». Parlamento che potrebbe anche saltare le ferie. «Ci sono troppe riforme in sospeso e troppi provvedimenti da esaminare.

L'ipotesi di chiudere le camere soltanto una o due settimane al massimo manderebbe avanti molto lavoro ancora da smaltire», propone il viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini (Psi).

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